Traduzione libera di “Bolivia – “Una mirada anárquica sobre las protestas y la renuncia del presidente indígena Evo Morales en Bolivia.””
Riceviamo e diffondiamo questo testo, che contiene una visione anti-autoritaria e rivoluzionaria del conflitto che si sta verificando in Bolivia, tra l’auto esilio di Evo Morales e l’apparente ingresso in un nuovo contesto dell’ultra-destra razzista, che reitera ed aggrava la persecuzione degli/delle indigen* (senza scendere nella narrativa che presenta l’ex presidente come un amico solidale di quest*, vittime e nemiche del grande capitale).
La fine della leadership …
Ciò che maggiormente colpisce delle proteste boliviane è la sconfitta di Evo Morales che segna la fine del governo del movimento socialista (MAS) – al potere da 13 anni. Una sconfitta annunciata dal referendum del 21 febbraio 2016 e che non si è limitata ai soli voti. L’incendio della Chiquitania ha giocato un ruolo fondamentale nell’ ‘inasprirsi delle proteste contro il precedente governo, perché ha evidenziato le alleanze di Evo con gli allevatori della regione di Santa Cruz e i contratti milionari con i cinesi suoi alleati anti-imperialisti. Anche l’attacco contro il TIPNIS ha giocato contro di lui. Ma in definitiva l’insistenza di Evo nel governare il paese a qualunque prezzo, lo ha portato alla sconfitta nel peggiore dei modi – specie per chi come lui si autodefinisce rivoluzionario -, con numerose proteste nelle strade.
Primo momento delle proteste.
Ma partiamo dalla scintilla che ha dato il via a questi giorni di conflitto. La sensazione di inganno per una frode o l’errata decisione di interrompere la trasmissione del conteggio dei voti, ha scatenato quella che fino ad oggi era una protesta in divenire. Inizialmente, i giovani democratici, pacifisti, cittadinisti e circensi che avevano scarso giudizio (in quanto impegnati a perfezionare i commenti razzisti) avevano chiesto un secondo turno; ma sono stati ridicolizzati per i loro nastri colorati. Quindi sempre più persone -dagli/dalle studenti universitari* ai minatori-, hanno ingrossato le proteste, chiedendo “nuove elezioni”; non appena sono state respinte, queste persone sono scese nelle strade gridando, pretendendo le dimissioni di Evo Morales. I comitati civici, approfittando del momento, hanno preso il controllo.
Se da un lato qualcun* tenderà a spiegare questo con l’ingerenza delle forze internazionali dell’imperialismo che hanno scatenato le persone contro il MAS, dall’altro lato non bisogna dimenticare che in queste proteste e nella sconfitta di Evo c’è qualcosa di estremamente importante per qualunque collettività: il rifiuto di accettare una rappresentanza statale e quindi governativa.”
Ciononostante, non c’era nulla che chiamasse gli/le anarchici/anarchiche alle proteste perché esse, oltre a difendere un sistema e la democrazia, erano proteste senza il minimo criterio antirazzista. Gli/le anarchici/anarchiche, quindi, hanno sfruttato il momento e hanno risposto con l’internazionalismo e la solidarietà, andando a protestare sotto il consolato del Cile – un territorio dove i/le compagn* incappucciat* continuano la guerra contro il sistema.
Ma buttando via tutto il cittadinismo e le istituzioni che cercano di governare le nostre vite, quando parliamo di un posto come la Bolivia – con una popolazione a maggioranza razzializzata come gli/le nativ*-, ci sono alcune cose che meritano più attenzione. Innanzitutto, le persone non volevano più questo governante che sembrava la caricatura di un presidente. Evo Morales è stato costruito come il simbolo dei nativi andini, quasi come un’immagine da esportare e accolta con entusiasmo da tutta la banda degli alternativi di sinistra. E anche se è certo che il suo governo abbia permesso un massiccio afflusso delle popolazioni native negli hotel, edifici pubblici, poltrone e altri posti del potere politico – prima gli era negato l’accesso se non per pulire o vendere qualcosa-, Evo non ha inventato la lotta dei popoli nativi, né ha cercato di farli riconoscere ufficialmente allo Stato boliviano. L’educazione “formale” è stato un sentiero ben tracciato da Warisata alle università, tanto che oggi ci sono già tre generazioni di “intellettuali Aymara” e un’università pubblica di El Alto – che venne aperta dopo le proteste e le occupazioni di edifici abbandonati. La salute tradizionale è riconosciuta come patrimonio dell’umanità ed è stata discussa in famosi incontri di medicina internazionale – una salute non occidentale ma che sopravvive a tutti gli Stati e poteri. Inoltre, il “percorso parlamentare indigeno” non è stato un risultato del MAS.
Solo per fare due esempi importanti:
– il MITKA (Movimiento indio Tupak Katari) è stato uno dei primi partiti indigeni. Fondato nel 1978 e partecipante alle elezioni dopo la dittatura, rivendica un paese indigeno;
-Comadre Remedios, la prima donna chola ad essere una conduttrice televisiva, la prima a ricoprire una posizione pubblica quando è stata eletta deputata dal dipartimento di La Paz e la prima candidata chola alla presidenza.
Tale percorso politico si è unito al sindacalismo anarchico boliviano dagli anni ’20 e ’30 con cuochi, artigiani e fioristi. E da una prospettiva anarchica dobbiamo sottolineare che è proprio questa inclusione statale che ha portato alla degenerazione la lotta autonoma – in quanto l’ha costretta a legalizzarsi, istituzionalizzarsi ed entrare nel progetto civilizzatore.
Per questo è urgente ricordare che non abbiamo mai bisogno di un presidente, di una costituzione o di uno Stato plurinazionale; vogliamo esistere con la gioia di essere ciò che siamo, e non di sopravvivere a secoli di colonialismo. I popoli nativi esistono nonostante gli Stati. Il profondo rapporto che abbiamo con la terra, con i pacha, gli achachilas, gli illas, gli apacheta e tutto ciò che ci circonda, non è stato inventato dal MAS. Questo partito ha riunito gli/le nativ* con un forte discorso statale di sinistra e, con l’orchestrazione dell’ex guerrigliero ed attuale ex vice-presidente Álvaro García Linera, si è mostrata l’altra faccia della medaglia del MAS: la sostituzione dei monumenti dei colonizzatori con quelli di Che Guevara o Hugo Chávez. Ciò che ha fatto la gestione del MAS, nel desiderio di costruire uno Stato indigeno, è stato rubare i simboli della resistenza e metterli nelle mani dello Stato e sulle divise delle forze repressive – che, tanto storicamente quanto attualmente, sono anche i carnefici di tutti i popoli nativi.
Ironicamente, il ruolo delle forze armate è stato decisivo per le dimissioni di Evo. Non perché la “buona polizia” non volesse massacrare la gente: questo è puro delirio perché non esiste nessuna polizia del popolo o polizia antifascista! La polizia, approfittando dell’occasione, si è ammutinata chiedendo una serie di benefici economici. E quando è tornata nelle strade, lo ha fatto per difendere i suoi soliti capi, i ricchi che si credono bianchi occidentali. La polizia non sarà mai amica: è la forza repressiva. C’è chi non lo dimentica e questo è ciò che applaudiamo quando vediamo dozzine di stazioni di polizia bruciate, il saccheggio delle dogane e la morte del colonnello della UTOP, che, spaventato dalle dinamite, si è schiantato con la sua macchina contro un minibus – notizia mai riportata dai mass media. I vandalismi non sono azioni teleguidate per il ritorno del MAS, ma espressione di una volontà di recuperare la propria vita, attaccando coloro che reprimono. Ed è certamente un orizzonte anarchico questo voler riprendere possesso della propria vita, ripulendola da tutti i partiti.
E la destra?
L’apparizione di un leader fascista come Camacho, figlio della popolazione dei proprietari terrieri borghesi, ex militante dell’Unión Juvenil Cruceñista (un gruppo d’assalto e marcatamente razzista) e capo del Comité Cìvico Pro Santa Cruz, deve essere visto come il difensore degli interessi della parte “ricca” della Bolivia: ricca di terra, di soia, di bestiame ma apparentemente meno ricca di pensiero, dal momento che Camacho ha chiesto aiuto per comprendere la costituzione politica dello Stato – niente di più e niente di meno che al Cancelliere brasiliano, famoso per i suoi discorsi in cui mescola esoterismo e letteratura razzista. Così, aiutato per estendere la sua Costituzione, Camacho si è imbardato e ha sfruttato il disappunto contro Evo per diventare il capo delle proteste; dopo le dimissioni, Camacho è entrato nel palazzo del governo con la bandiera della Bolivia e la bibbia, bruciando la Wiphala. La stessa bibbia con cui è entrata la nuova presidente Jeanine, circondata dai militari. Nell’atteggiamento della destra c’è una reazione e una netta volontà di ribadire la validità dei vecchi valori del dominio: il nazionalismo, il caudillismo, il patriarcato, la colonizzazione, la supremazia dell’idea creola del “bianco” e l’insistenza del potere di Dio – questo eterno dittatore che secoli fa cercava di dominare tutti i tipi di ribelli e di rimuovere le “idolatrie” di tutti i popoli nativi. Nelle parole di Camacho, che chiedono l’unità nazionale e una sola Bolivia, risiede l’imposizione di uno Stato su tutte le altre collettività e il desiderio di normalità cittadina che garantisca a loro di continuare a dominare dopo l’incubo di essere stati fuori dal potere politico per 13 anni. Tali atti, sommati alla polizia di Santa Cruz che eliminerà la Wiphala dalle uniformi, saranno gesti che susciteranno tensioni nascoste.
Perché quello che hanno fatto con la Wiphala è quello che vogliono fare con i popoli nativi.
Perché rifiutare la Wiphala significa affermare a gran voce il colonialismo esistente in Bolivia, dove le persone si guardano allo specchio e vogliono sentirsi bianche per essere più istruite, più civili.
Perché entrare con la Bibbia e la bandiera, espellendo la Wiphala, esprime la pulizia etnica che il dominio ha sempre sognato in Bolivia.
Altro momento.
E questo è un secondo momento, in cui, senza il leader Evo Morales, la protesta ha continuato a traboccare. Rimangono i saccheggi e gli atti vandalici da tutte le parti. Inizialmente, senza polizia e senza presidente, le “orde” hanno provocato il panico cittadino – un panico storico per la vendetta dei razzializzati come i/le nativ*. Alla fine, quelli che dominano sanno che mangiano, comprano, sono serviti, trasportati e vivono in case costruite e prodotte da coloro che chiamano indigeni. Ma il saccheggio, così come gli attacchi, sono molto più dell’azione di un partito. Pensare soltanto ai partiti ci separa dalla complessità delle nostre pratiche e sforzi anarchici. I saccheggi e gli attacchi sono anche il risultato dell’esclusione e della servitù secolare.
Se espandiamo la nostra visione oltre i confini dei partiti di sinistra e di destra e guardiamo verso la bella e urgente distruzione del dominio, possiamo sentire le tensioni irrisolte in Bolivia. Il rogo del Wiphala, come il rogo dei poncho nel Sucre nel 2008, sono atti che ci ricordano di volta in volta la faccia del dominio e del progetto civilizzatore di cui lo Stato – e tutti coloro che entrano in esso – sono parte vitale. Perché? Perché lo Stato in questo continente è il risultato di un’imposizione coloniale che stava mutando in guerre e “rivoluzioni” tra le élite creole. Perché lo Stato è il braccio legalizzatore della devastazione della terra, attraverso le sue politiche di sviluppo e progresso. Perché lo Stato è Potere, e il potere usa la forza repressiva per annientare qualsiasi libertà, e perché corrompe chiunque. Di conseguenza, e sebbene sembri ovvio che un* anarchic* lo dica, non è attraverso lo Stato o i partiti (che siano o no di sinistra) che si annichilisce il dominio. Il dominio viene annientato distruggendo lo Stato e i suoi falsi critici. Questo è l’orizzonte che ispira la lotta anarchica, antagonista a qualsiasi potere. Tale orizzonte ci porta a vedere la possibilità di una assoluta libertà. Per tutto questo insieme di ragioni, parliamo seriamente quando vogliamo, come anarchici/anarchiche, la distruzione dello Stato.
Ma quell’orizzonte lo abbiamo anche imparato dai popoli da cui abbiamo ereditato le nostre radici secoli fa – senza il bisogno dello Stato. È per questo che sentiamo nelle strade il grido: “Ahora sí Guerra Civil!!”
Grido antico che abbiamo già ascoltato nella “Guera del Gas y del Agua” del 2000. E ciò ci ricorda come la guerra in queste terre non sia mai avvenuta tra i popoli originari e i colonizzatori, ma tra le varie élite creole.
Grido che oggi è stato sollevato di nuovo dalla comunità del territorio di El Alto. Una comunità nativa razzializzata ed esclusa, da sempre in tensione contro il progetto civilizzatore dello Stato.
E questo è qualcosa che nessun governante può risolvere.
Sopra le costituenti e la Costituzione
La falsa risoluzione di queste tensioni attraverso la Costituente promossa dal MAS tra il 2006 e il 2008, era una soluzione legale (logica occidentale!) ai problemi basati sul colore della pelle e sulla visione dello Stato-Capitale. Una costituente – e la sua costituzione risultante -, sono gli strumenti del patto sociale tra la società e lo Stato. Sono il segno distintivo della sottomissione delle collettività a uno Stato, e segnano la sconfitta di ogni lotta autonoma. Ed è così che la nuova Costituzione Plurinazionale della Bolivia si è tradotta in un recinto istituzionale che ha allontanato le persone dal fare politica e lotte in strada. La costituente ha ridotto le lotte millenarie a un partito, il MAS, e ha permesso al razzismo e al colonialismo di mascherarsi come opposizione politica. Ecco perché loro, i dominatori di sempre, hanno trovato più facile insultare un nativo – definendolo un masista -, che mantenere il classico “indio di merda” che risulta più politicamente scorretto.
La Nuova Costituzione e il volto indigeno di Evo hanno confuso tutt* con questa inclusione, portando chi si opponeva allo Stato a far parte sia di un gruppo indigeno che di un ministero, sia di un gruppo di commercianti di contrabbando che un’istituzione pubblica. Le comunità forti e combattive sono diventate il governo e con l’inclusione si sono confuse e conformate, perdendo di vista il fatto che le gerarchie di classe, di cultura e del colore della pelle erano appena nascoste. Anche molti “anarchici” e libertari erano gravemente confusi (come è accaduto in Venezuela con gli anarco-chavistas, in Messico con gli anarco-zapatistas e anche in Brasile con i pro-lula), probabilmente perché hanno solo accompagnato i movimenti sociali e non hanno fatto dell’anarchia una ricerca individuale che non si perdesse alla prima tempesta. Questa confusione, aggiunta al rifiuto (con una forte repressione attraverso i media) di una pratica anarchica radicale, ha quasi messo a tacere l’anarchismo in Bolivia.
Ecco perché oggi è importante dire qualcosa sull’anarchia – specie quando un presidente si dimette -, in modo che quell* confus* non raggiungano l’estremo di sentirsi dispiaciut* per un presidente o credere che combattere contro la destra equivalga a ridurre l’impegno per la libertà e allearsi con i partiti di sinistra. Che il presidente sia più o meno simpatico a secondo delle visioni del mondo inclusivo, è un dibattito da approfondire: non possiamo dimenticare che un presidente, anche se indigeno, donna, nero o libertario, è il guardiano dello Stato, del capitale e della devastazione della Terra – in quanto dispone della vita e delle persone come risorse.
Siamo anarchici/anarchiche. Parlare solo del golpe legittima la logica statale e intrappola il pensiero alle strategie dei partiti e del parlamento. Il dibattito sul golpe (o presunto tale), rafforza l’intangibilità dello Stato, le sue leggi e i suoi funzionari. La logica statale ha lavato così tanto le menti delle persone da non farci vedere come siamo noi stess* i/le responsabili delle soluzioni dei nostri problemi. Nessun salvatore ci apre le porte. La riduzione della lotta da parte dei partiti, così come il dualismo sinistra e destra, rendono impossibile la ricerca di orizzonti di lotta radicale che costruiscano l’autonomia e puntino alla distruzione assoluta dello Stato.
Sempre è il momento
Vogliamo sottolineare che gli/le anarchici/anarchiche sono stati i/le prim* a lottare contro il governo di Evo Morales con azioni offensive contro il macabro intervento nel TIPNIS. Quindi chiediamo ora: si teme di perdere di fronte alla destra? Chi è abituato a lottare, sa di non perdere nulla.
Che Evo abbia perso non significa che la destra abbia vinto. E che Evo continui a governare, non significa che il dominio sia finito. Per coloro che lo dimenticano, né il Congreso, né il governo sono un trionfo per qualsiasi anarchic*. La lotta contro la destra è sempre stata la lotta contro il dominio, contro la devastazione, contro il dio tiranno, contro il razzismo e, ovviamente, contro lo Stato.
La migliore risposta è data da El Alto: al grido “non siamo masisti, ma alteño”, si è aggiunto anche lo slogan: “Il Wiphala si rispetta, stronzi!”
Adesso è tempo di attaccare; ma non difendendo un’opzione meno peggiore, né un partito, né “alleanze” che ci allontanino dal desiderio di vivere liber* e senza essere comandat*. Attaccare ogni forza repressiva, ogni istituzione statale, ogni rappresentazione dello Stato boliviano – o qualsiasi Stato!-, ispirandosi all’odio verso il dominio. Alla fine, siamo sempre stat* contro lo Stato e abbiamo sempre resistito a tutti i poteri; siamo razzializzat* come i/le nativi/e e cerchiamo l’anarchia; e ora dobbiamo spiegare didatticamente e criticamente perché non siamo dispiaciut* per un partito o un governante.
Mentre scriviamo queste righe (24/11/2019), ci sono forti proteste; i prigionieri del Carcere di San Pedro si ribellano; il direttore del Régimen Penitenciario si è dimesso; le forze armate, insieme alla polizia (quella polizia che ha rifiutato di reprimere la gioventù civile e democratica), hanno ucciso almeno dieci persone a La Paz e Cochabamba – dieci persone con occhi piccoli e pelle scura, che parlavano lingue ancestrali ed erano etichettati come masisti. Ci sono centinaia di detenut* accusat* di essere masisti ma in realtà sono nativi: i cocaleros, Aymara, Quechua, Guarani…tutte persone insultate per secoli. Una persecuzione surreale viene condotta contro le persone, compresi i medici provenienti da Cuba e Venezuela, così come l’espulsione di tutto ciò che credono sia “una minaccia comunista”; il potere centralizzato non instaura un dialogo con i settori sociali senza la mediazione delle Nazioni Unite, dell’UE e della Chiesa.
Le cose sono chiare e la migliore risposta alle paure dell’ “ascesa del fascismo in questa parte del continente” e alle preoccupazioni geopolitiche della sinistra e della destra è non avere un giorno di riposo. Solo la fine dello Stato permette di creare e proseguire nell’autonomia – che esiste già in tante collettività da millenni. Al di là della lotta dei partiti che bramano solo al potere, siamo allegr* guerrier*, difensori di quel che siamo, amanti della libertà e resistenti alla colonizzazione da secoli. Che la bandiera nera e il Wiphala si incontrino di nuovo in così tante strade, in così tante lotte, con la miccia pronta per il conflitto, libero dallo Stato.
La fine della leadership è l’inizio della libertà.
Per coloro che combattono contro ogni tiranno, possano i venti degli achachila soffiare resistenza!
Ché la rivolta sia contagiosa!
Né sinistra né destra! Morte allo Stato e lunga vita all’anarchia!
Ps1: ai/alle compagn* di Cochabamba, Santa Cruz, La Paz, El Alto e a coloro che hanno rinfoltito questo testo con le narrazioni di ciò che accade, insistendo nella lotta.
Ps2: alla memoria degli/delle anarchici/anarchiche che sono stat* in grado di criticare tutti quei totalitarismi che hanno deviato l’orizzonte della lotta radicale per la libertà.
Note