Sul CataniaPride 2019

We are the Stonewall girls
We wear our hair in curls
We wear no underwear
We show our pubic hair
We wear our dungarees / Above our nelly knees!

(motto irriverente cantato dalle drag-queen contro i poliziotti durante i moti di Stonewall. Citato da Duberman Martin, “Stonewall”, New York, Dutton Books, 1993, pagg 200-201)

Cinquant’anni fa presso il bar “Stonewall Inn” di New York City, drag queen, drag king, persone transgender, omosessuali, lesbiche, sex workers e senzatetto ingaggiarono una lotta di due giorni contro la polizia che agiva in nome del decoro dell’allora sindaco newyorchese John Lindsay. Persone come Sylvia Rivera o Stormé DeLarverie divennero delle vere e proprie icone di questa battaglia contro la violenza socio-economica dei tempi.

Sebbene l’omosessualità e la transessualità siano state cancellate dall’OMS in tempi recenti (la prima nel 1990, la seconda nel 2018) le discriminazioni socio-economiche continuano ancora oggi ai danni di individualità non dichiaratamente eterosessuali.

Chi tenta di abbattere questo stato di cose mediante gli strumenti di un sistema di poteri sociali, culturali ed economici discriminanti, dimentica che il problema non è la mancanza e/o la presenza di leggi, politiche o istruzione, ma un sistema che pretende di tenerci al sicuro, rendendoci vulnerabili e assuefatti alla logica del dominio e del castigo.

Come anarchic* la nostra lotta è orientata alla distruzione di questi sistemi di potere, favorendo una strategia politica per l’autodeterminazione di ogni individuo, prendendo, infine, le distanze da chi, dall’alto della propria “oppressione”, cerca opportunità per integrarsi nell’attuale modello sociale ed economico fatto di istituzioni, relazioni sociali normanti come il matrimonio e lo sfruttamento di esseri viventi.

Gruppo Anarchico Chimera

[parte di questo testo è presente nel volantino che è stato distribuito al Catania Pride]

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La Rete

La seconda edizione del Festival Siciliano delle Famiglie (7-9 Giugno) si è tenuto nuovamente a Catania. Se le tematiche dello scorso anno erano la bassa natalità e la migrazione [1], nell’edizione odierna si è discusso principalmente sul supporto alle famiglie, a livello culturale ed economico (laboratori culturali, asili nidi, centri aggregativi giovanili, supporti per le donne lavoratrici), riportando gli esempi di Trento (di cui era presente Luciano Malfer, direttore dell’Agenzia per la Famiglia della Provincia Autonoma di Trento) e dei comuni di Leonforte (provincia di Enna) e di San Gregorio (provincia di Catania).
Le uniche forme di contestazione contro questo Festival, o parata di anti-abortisti e borghesi pro-life, sono state da parte di NUDM Catania – la quale ha contestato attraverso un comunicato l’Opus Dei.

Siamo sicuri che il problema sia solo l’Opus Dei?
Per meglio comprendere come e da chi nasce tale Festival occorre partire dalla Compagnia delle Opere.

La Compagnia delle Opere (CdO)
La CdO nasce in seno a Comunione e Liberazione, fondata da don Luigi Giussani nel 1954 prima come “Gioventù Studentesca” ed evolutasi, secondo Franco La Cecla, in “un meccanismo da setta”, “la cosa più vicina a un gruppo troskista che il cattolicesimo ha saputo inventare – con la sua buona dose di regole endogamiche, la propria dose di segreti e di regole solo per iniziati. ”[2]
Già, un gruppo troskista di matrice cattolica con una visione conservatrice della società, tranne che negli affari.
Comunione e Liberazione può essere suddivisa in due macro-sezioni:
-la parte culturale o spirituale, dove troviamo il gruppo dei “Memores Domini”: l’esponente più importante era Roberto Formigoni, condannato nel Febbraio 2019 a 5 anni e 10 mesi per corruzione mediante grosse regalie per i favori concessi ad imprenditori da presidente della Regione Lombardia.[3]. Chi aderisce a tale gruppo è nell’elite di CL e segue una vocazione di dedizione totale a Dio. I membri di tale gruppo si impegnano alla “contemplazione, intesa come memoria continua di Cristo, e alla missione, cioè alla passione a portare l’annuncio cristiano nella vita di tutti gli uomini” [4]. Il fondatore di CL, don Luigi Giussani, li ha voluti impegnati “a seguire una vita di perfezione cristiana” attraverso la pratica dei tre voti: l’obbedienza, la povertà e la verginità;
-la parte economica, quella che ci interessa, composta dalla Compagnia delle Opere, la Fondazione per la Sussidiarietà e il Banco Alimentare.

La povertà di cui si fregiano gli aderenti di CL è una facciata: la Compagnia delle Opere, descritta nel libro del giornalista Ferruccio Pinotti, “La Lobby di Dio”, è “una superlobby, ma anche molto di più. I numeri della Compagnia delle opere sono impressionanti: 41 sedi in Italia e in altri 17 paesi, 34.000 imprese e 1000 associazioni non-profit. Il fatturato complessivo è stato stimato in almeno 70 miliardi di euro. Numeri in difetto, perché tengono conto soltanto delle imprese iscritte alla Cdo. Ci sono migliaia di società e di professionisti che, pur non essendo parte della Compagnia, si riconoscono nella sua ideologia e si adoperano per favorirla. Soltanto la sezione milanese della Cdo conta più di seimila aziende di tutti i comparti e di tutte le tipologie, ma con una prevalenza di quelle che operano nel campo dei servizi e con meno di dieci dipendenti.
Già nel 2008 il numero di associati della Cdo di Milano ha superato quelli di Assolombarda.
Per questa ragione, sempre dal 2008, ben tre componenti del consiglio direttivo della Camera di commercio di Milano sono rappresentanti della Cdo. Nella Cdo c’è molto di più della comunanza d’interessi che tiene aggregate le lobby. La Compagnia delle opere è l’applicazione pratica più riuscita del principio della «terza via» cattolica, un approccio alla società e all’economia che non è né socialista né liberista. Dietro Cdo c’è un’ideologia solida e forte. È sempre presente il ricordo del carismatico fondatore, don Giussani,ma anche l’influsso di Julián Carrón, il suo successore. E c’è la consapevolezza di essere la più riuscita applicazione pratica della dottrina sociale della Chiesa. Questa consapevolezza non è limitata soltanto agli aderenti di Cdo: è patrimonio di tutta la galassia di Cl e di gran parte della destra cattolica.
” (pag. 85-86)
La nascita della CdO avviene il 26 Agosto 1987 durante il Meeting di CL.
La seconda metà degli anni Ottanta è la fase calante del sistema politico dei partiti italiani (DC, PSI, PCI, PRI, PLI, MSI) – la cui fine sarebbe stata segnata nel 1992 con Tangentopoli – e l’inizio della crisi economica. In una situazione del genere, alcuni aderenti di CL, legati sia alla DC che al mondo imprenditoriale, decisero di creare una struttura che preservasse gli interessi economici e sociali attraverso slogan di cooperazione imprenditoriale.
Nell’intervento di Roberto Formigoni del 26 Agosto 1987, il “Celeste” spiega come la CdO sia un’espressione di potere inteso come “l’utilizzo di risorse umane per uno scopo” e quindi “contro un potere che ci attacchi, che attacchi la creatività dell’uomo o che pretenda di irreggimentare questa attività dell’uomo, di darvi forme obbligatorie, o di ridurre la creatività dell’uomo ad un fenomeno marginale, volontaristico e consolatorio”. [5]

La battaglia che Formigoni e soci si prefiggono è quella della libertà “per la promozione di questi diritti delle comunità intermedie, dei movimenti, dei gruppi, dei soggetti sociali. Oggi lo scontro è tra il desiderio dell’uomo e un potere che spesso non vuole considerare questo desiderio dell’uomo perché lo sente come sovversivo rispetto a sé. L’obiettivo dei nostro intervento nel sociale è esattamente la salvaguardia del desiderio umano, la difesa di una democrazia vera, la difesa dei potere di decidere da parte del popolo. La lotta per la libertà è certamente uno dei motivi di fondo per cui costruire le opere; le nostre battaglie, dall’occupazione alla scuola, alla cultura, sono e devono essere per la ricerca di un consenso, ma per la difesa di questa libertà e della libertà di tutti.” [5]

Questa ricerca di cooperazione da parte della CdO fu ispirata dalla prima enciclica di papa Giovanni Paolo II, “Laborem exercens” (Settembre 1981) [6] ; in essa il papa polacco si scagliava contro le due visioni economiche del periodo storico (il socialismo reale e il nascente capitalismo sfrenato di Thatcher e Reagan), incapaci di difendere il mondo del lavoro e spingendo, come soluzione, ad una collaborazione di tutti.

A partire dal 26 Agosto 1987, la CdO sfrutta, col beneplacito di Giovanni Paolo II, due encicliche papali per avvalorare le tesi culturali e propagandistiche del gruppo “economico” di CL:
la “Sollicitudo rei socialis” (Dicembre 1987) e “Centesimus annus” (Maggio 1991).
La condanna del libero mercato declinato in senso thatcheriano-reaganiano, il fallimento del socialismo reale e la cooperazione come base relazionale fanno somigliare la CdO, stando alle parole di Ferruccio Pinotti, ad una loggia “massonica, pur essendo vestita di cattolicesimo integralista.” [7]

Flessibilità e nuovo modo di concepire il lobbying
La sede nazionale della CdO è a Milano e la sua struttura è composta da un’assemblea di soci, un presidente (l’attuale Bernhard Scholz), un direttore (l’attuale Dionigi Gianola) e un collegio di revisori contabili.
Le singole realtà locali della Cdo iniziano il loro percorso alle dipendenze della sede centrale di Milano, per poi raggiungere lo status di sedi autonome non appena hanno un numero significativo di soci.
Le sedi locali della Cdo possono avere due tipi di strutture: “pesanti” o “leggere”.
Le strutture “pesanti” sono tipiche della Lombardia e di alcune zone del Sud-Italia, le cui caratteristiche sono: la molteplicità di servizi e consulenze offerti, un organico consistente (segretarie, consulenti tributari e societari, uffici stampa) e un numero di soci che le pone in competizione nel territorio con le associazioni di categoria.
Ciò lo vediamo, ad esempio, nel caso bresciano e nel caso siciliano, di cui parleremo più avanti.
Le strutture “leggere” hanno un personale ridotto al minimo e non offrono servizi ai propri soci se non con modalità informali. Il loro scopo è principalmente quello di fornire una “rete” di contatti e rapporti di business.

Non esiste un modello unico di CdO, in quanto all’interno delle due strutture descritte esistono una vasta gamma di sfumature nelle quali la singola sede può nascere e svilupparsi come più ritiene opportuno. Questo avviene perché la CdO, spesso, si sviluppa dal basso – e non dall’alto come le associazioni di categoria.
Un esempio lo troviamo con la CdO Trentino-Alto Adige nata da incontri informali tra gli imprenditori della provincia di Trento e appartenenti a CL, divenuta un’associazione con l’accrescersi del numero di partecipanti.
Le proposte di fare rete, collaborare e aiutarsi a vicenda sono state (e lo sono tuttora) la base e il trampolino di lancio della CdO per poter operare sui territori. Come spiegato dal presidente della CdO Verona, Luca Castagnetti, “l’imprenditore entra in comunicazione diretta con migliaia di altri imprenditori sparsi per l’Italia e per il mondo. Ognuno di essi è un potenziale cliente o un potenziale partner. Ma non solo”. [8]
Come avviene ciò nel pratico? Per Scholz, presidente della CdO, avviene attraverso “un’amicizia operativa dove le persone si aiutano attraverso scambi di informazioni, di know-how, di esperienze, di conoscenze per affrontare la quotidianità imprenditoriale. Nella Cdo è cresciuta negli ultimi anni la sensibilità per la formazione, che è condizione sempre più decisiva per chi governa un’impresa. È un lavoro importante sia dentro le realtà orientate al profitto, sia in quelle non-profit. Un altro punto di forza, su cui stiamo lavorando, è quello relativo all’internazionalizzazione delle nostre imprese.” [9]
Su questa amicizia operativa, Castagnetti pone l’esempio di un produttore di macchine agricole in difficoltà associato alla CdO: costui chiamerà il presidente della Compagnia per chiedere aiuto e quest’ultimo “cercherà tra i suoi soci – o tra i soci di altre Compagnie – un distributore di macchine agricole in grado di soccorrerlo. A questo punto il distributore di macchine agricole cambierà fornitore o comunque ne aggiungerà uno ai suoi, iniziando ad acquistare le macchine dal socio Cdo in difficoltà. Magari ci rimetterà qualcosa, perché il suo precedente fornitore vendeva macchine migliori a prezzo minore. Ma lo farà comunque, certo di ricevere lo stesso trattamento, o qualche altro tipo di favore, quando sarà lui a essere in difficoltà”. [8]

Fare rete è fondamentale per la CdO e le associazioni, le società, le piccole aziende e le banche [10] – come dimostrato con i casi di Finmeccanica [11] e di Banca IntesaSanPaoloSpA [12].
È ovvio che un sistema reticolare del genere non sfugga all’attenzione di altre “reti”.

In Lombardia la ‘ndrangheta locale, secondo le inchieste del Tribunale di Milano, ha sviluppato accordi con iscritti o vicini alla CdO, come dimostrato dall’applicazione della misura cautelare personale del Gip Giuseppe Gennari verso Ivano Perego, presidente della Perego General Contractor, ovvero “la ditta che ha avuto in subappalto da Cosbau i lavori per il raddoppio della provinciale Paullese nel tratto Crema-Spino d’Adda. Secondo gli inquirenti, Perego sarebbe stato stato l’anello di congiunzione tra il mondo degli appalti e il boss calabrese Salvatore Strangio. Un’accusa che si fonda sulle intercettazioni disposte dai magistrati Ilda Boccassini e Giuseppe Pignatone”. [13]
Perego aveva partecipato alla “Giornata della sussidiarietà” (4 Aprile 2009), un evento organizzato dalla Compagnia delle Opere e dalla Fondazione Sussidiarietà, legate entrambe a CL. [14]

Pur sfiorata dalle indagini, la CdO allarga la propria rete all’estero ed in particolare negli Stati Uniti. Non è un caso, appunto che l’attuale presidente sia il tedesco Bernhard Scholz, esperto di finanza e marketing [15] e cresciuto nella Fondazione per la Sussidiarietà, il think tank della Compagnia delle Opere. La missione della Fondazione è quella di approfondire culturalmente e scientificamente “la diffusione di una visione della società basata sulla centralità della persona e sul principio di sussidiarietà, con particolare rilievo agli aspetti educativi ad esso connessi”. [16]
Usando questo escamotage umanitario, la CdO e le sue emanazioni riescono a radicarsi e allargarsi ovunque vi siano margini di guadagno

La Compagnia delle Opere Sicilia Orientale
L’arrivo ufficiale della CdO in Sicilia avviene a Catania nel Febbraio 2001. Tre anni dopo, nel 2004, è la volta di Palermo.
Il posizionamento del braccio economico di CL nelle due città non è di certo un caso: Catania e Palermo sono i due principali poli economici e finanziari della Sicilia. Stando alle parole di Saverio Stellino, presidente della CdO Sicilia Occidentale, “la Compagnia delle opere in Sicilia nasce da persone che vivevano un’esperienza cattolica. E c’è una differenza fondamentale tra Catania e Palermo. A Catania si sono messi insieme veri e propri imprenditori, legati da un’esperienza di fede comune e da un cammino cristiano. Qui a Palermo, invece, la Cdo non nasce da imprenditori ma da persone all’interno di un contesto di origine cristiana. Era gente comune, ma è chiaro che poi si sono avvicinate personalità di spicco, dal politico al presidente di Regione. Ma solo per condividere la mission della Cdo, non perché siano stati di supporto.” [17]
L’evoluzione della CdO in Sicilia è stata, a differenza dei casi lombardo ed emiliano, più nascosta ed anonima, ma non per questo meno subdola o pericolosa. Pur dovendo affrontare altre “reti” presenti sul territorio – sia criminali che di categoria [18] -, la CdO in Sicilia è riuscita ad avere enormi vantaggi dalla politica regionale – come la pioggia di benefici ad hoc nella Legge 26 marzo 2002, n. 2 “Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002” della Regione Sicilia. [19]
Dalla sua fondazione fino ad oggi, i presidenti della Compagnia delle Opere Sicilia Orientale – gli ex Carlo Saggio (attuale presidente del Teatro Stabile di Catania), Salvatore Abate e l’attuale Salvatore Contraffatto – hanno instaurato dialoghi con le amministrazioni della città etnea (Scapagnini, Bianco, Stancanelli e Pogliese) e stretto sempre più i legami con grosse aziende legate alla Grande Distribuzione Organizzata.
Il caso della Roberto Abate spa (conosciuto come Gruppo Abate) è emblematico su come la CdO e le grosse imprese si muovessero insieme.
L’ex presidente della CdO Salvatore Abate (2015-2018), il fratello Marcello e la sorella Laura, erano i gestori della Roberto Abate spa e dei marchi A&O e Famila (legati alla Selex Gruppo Commerciale SpA) in Sicilia.
L’azienda di famiglia va in crisi, ufficialmente, nel 2018 [20], e il continuo smantellamento dei punti vendita – con tanto di cessione dei medesimi alla Ergon e ai gruppi Arena e Rocchetta e con conseguente licenziamento dei lavoratori e delle lavoratrici – , porta la sezione fallimentare del Tribunale di Catania a sequestrare il patrimonio della società per via di punti oscuri sulla vicenda, quali le disponibilità liquide troppo basse (oltre 900mila euro) considerati gli introiti ottenuti dalla vendita del centro commerciale Etnapolis e della maggior parte dei supermercati.
Stando a quanto riportato da meridionews nell’articolo “Roberto Abate spa, ordinato sequestro di patrimonio. Procura di Catania chiede il fallimento della società” del 1 Marzo 2019, “a vigilare sull’intera società per azioni, fino a questo momento, è stato il collegio dei sindaci: interamente composto da professionisti dello studio di Antonio Pogliese, padre del sindaco di Catania Salvo Pogliese”. [21]
Antonio Pogliese, dall’alto della sua posizione di componente sia del Consiglio direttivo dell’Ordine dei Commercialisti di Catania che del Consiglio d’Amministrazione dell’Università di Catania, era riuscito ad organizzare una fitta rete di assistenza ad aziende con il compito di evadere l’erario attraverso la manipolazione dei bilanci.
Allo stesso tempo Pogliese padre aveva a che fare con associazioni e aziende legate alla CdO (come la citata Roberto Abate spa) e all’ “International Association of Lions Club”.
In tutta questa situazione la Mida Discount (MD) spa di Patrizio Podini acquisisce 21 punti vendita della fu Roberto Abate spa. La MD, con un fatturato in continua crescita (2 miliardi di euro nel solo 2017 [22]) si pone come principale società della Grande Distribuzione Organizzata in territori (Catania, Enna e Siracusa) dove l’utenza locale è a basso reddito.
I casi di queste cessioni e acquisizioni devono essere visti attentamente nella logica di aiuto reciproco tra soci della CdO: MD è socio del Banco Alimentare [23] e, insieme ad Ergon (Conad), membro del gruppo Selex – come la Roberto Abate spa.
Alle azioni della MD, si aggiunge l’intraprendenza dei fratelli Arena (conosciuti come Gruppo Arena srl) che, gestendo la catena di supermercati Decò della Multicedi srl, ha sviluppato un fatturato di 447 milioni di euro [24] nel 2017.
La Compagnia delle Opere tesse bene la sua rete e sviluppa collaborazioni con gruppi come i Fratelli Arena – sponsor del Festival Regionale delle Famiglie – e con l’attuale amministrazione comunale di Catania.

Il Festival Regionale delle Famiglie
Il secondo appuntamento annuale del festival dedicato alla famiglia ha come titolo: “Per Servire, Servire. I giovani e la famiglia, per rigenerare un sistema di valori al servizio della società!”.
E come può avvenire questo servire?
Contrastando le forme di degenerazioni portate, secondo Gigi De Palo, presidente del forum nazionale delle associazioni familiari, dalla “sciatteria [e dal]la crisi educativa”, derivante da una mentalità perdente che si fonda sul “tanto non cambia nulla””.
Per cambiare rotta, De Palo propone di raccontare ai giovani quanto “sia bello fare un figlio, costruire una famiglia e aiutare il prossimo. I nostri ragazzi saranno invogliati a mettere su famiglia non per convincimento ma per attrazione, cioè se vedono modelli di bellezza che funzionano, se vedono quanto siamo disposti a dare la vita per le nostre mogli o mariti.
Bisogna essere buoni testimoni, aprire la finestra e far sentire il profumo del pane. Ritornare ad avere quel desiderio educativo perché tutto educa basta solo volerlo
”. [25]
L’obiettivo principale di questo Festival è, quindi, esaltare la famiglia come caposaldo e punto di riferimento della società e del modello economico odierno, strizzando l’occhio verso le donne lavoratrici.
E cosa importa se la donna diventa “un oggetto di carne” o “macchina procreatrice”, buona per far nascere e crescere figli (possibilmente maschi, unici capaci di mantenere in vita la cosiddetta stirpe). [1]

La subalternità della donna in Sicilia (specie all’interno della famiglia) e la stigmatizzazione sociale ed economica verso chi non rispetta tali dettami sono ancora oggi palpabili.
Il comitato organizzatore del Festival di quest’anno è così composto:
GRASSO Salvatore, Vicepresidente regionale del Forum delle Associazioni Familiari della Sicilia
BATTAGLIA Febo Francesco, Vicepresidente provinciale del Forum delle Associazioni Familiari
VERONA Maurizio, Presidente dell’Associazione Family Party
MORANDO Milena Maria Rita, segretario dell’Associazione Family Party
AIELLO Agata, Presidente delle ACLI della Provincia di Catania
RUSSO Alfio, Presidente regionale dell’Associazione Famiglie numerose
LA FERRARA Antonio, Presidente dell’Associazione Futurlab
MARTINES Vincenzo, Presidente dell’Unione Exallievi di Don Bosco del San Francesco di Sales
CHIANTELLO Maria, delegato della pastorale familiare della Diocesi di Catania
LEONE Antonello, delegato dell’Associazione Scienze e Vita
RAFFAELE Ferdinando, delegato dell’Associazione Alleanza Cattolica
BARBAROSSA Edoardo, delegato dell’Associazione Papa Giovanni XXIII
VIRGILITO Maria, Presidente dell’Associazione ASA onlus
BARLUCCHI Marco, responsabile regionale del Movimento dei Focolarini
IENZI Umberto, delegato dell’Associazione Centro Aiuto alla Vita
MIGLIORE Marco, Presidente dell’Associazione Faro- Orientamento Familiare
PASSARELLO Gino,Delegato Regionale ambito Famiglia del Rinnovamento nello Spirito
DE LUCA Pier Giuseppe, responsabile regionale MCL
CICALA Cristina, Presidente dell’Associazione Medicare Onlus
MESSINA Agnese, Presidente della Bottega dell’Orefice Onlus
BONACCORSI Salvatore, Presidente regionale Alleanza Evangelica Italiana
CATERINA Carruba, Delegata dell’Associazione Exallieve FMA.
Mancano Pillon, Ratzinger e Godzilla per capire il livello politico e culturale su cui si basa questo Festival.
Ospite d’eccellenza è il già citato Luciano Malfer, che ricordiamo essere dirigente generale dell’Agenzia per la Famiglia della Provincia Autonoma di Trento che afferma:
La Famiglia non va trattata solo in relazione a contesti problematici ma come generatore di sviluppo. Le politiche familiari, che si differenziano da quelle sociali, spesso non richiedono un impegno finanziario ma si realizzano con reti collaborative pubblico-private che agiscono in sinergia sul territorio”. [26]
Andiamo adesso a vedere i promotori per capire da chi viene pagato questo Festival.
L’iniziativa è patrocinata da Regione Siciliana, Assessorato regionale al Turismo, Assessorato regionale alla Famiglia, Provincia Autonoma di Trento, Comune di Catania, Comune di San Gregorio di Catania e dalle Università degli Studi di Catania, Palermo e Messina.
È da evidenziare come, all’interno delle principali Università siciliane, la classe dirigente sia a tu per tu con Comunione e Liberazione, dimostrando come la laicità e la ricerca scientifica – di cui si fregiano – siano solo dei lenzuoli per nascondere lo squallore.

Se questi sono i promotori istituzionali, dall’altra parte abbiamo i privati e le associazioni che hanno contribuito alla realizzazione di questo Festival [27] come, ad esempio:
– La Tecnica della Scuola giornale online informativo per i docenti, che assume così una posizione netta.
– La Nuova Dogana, un centro culturale (non si capisce se associazione, cooperativa o altro) che gestisce lo spazio omonimo in base a criteri sconosciuti. Ma è uno spazio aperto a tutti.
Forte è il sospetto che sia una associazione cresciuta all’ombra della “rete” della CdO.
– il Museo Diocesano, la cui partecipazione serve a dare un’impronta spirituale
– la Fondazione Sicilia, fondazione ex Banco di Sicilia, che si pone come scopo prioritario quello di favorire la crescita sociale, culturale ed economica della Sicilia attraverso la valorizzare di beni culturali, supporto all’educazione, incentivare la ricerca scientifica, stimolare lo sviluppo sostenibile e, non ultimo, promuovere azioni di solidarietà.
– la Ferrovia CircumEtnea, la quale offre biglietti a prezzi scontati per le famiglie che vorranno andare a questo festival. Tale mossa rientra nel piano propagandistico di costruzione della metropolitana;
– l’Azienda Municipale Trasporti, prossima al fallimento e presente al Festival per dare una parvenza di esistenza.

Ma tra tutte queste associazioni quella che più ci ha colpito è l’Associazione Officine Culturali. Stando a quanto riportato dal loro sito internet, Officine Culturali si occupa di “rendere vitali i beni culturali anche come luoghi di occupazione e professionalizzazione. Attraverso lo studio, la ricerca e la comunicazione creiamo nuove grammatiche che siano a servizio della società e del suo sviluppo.” [28]
Interessante è andare a vedere che tra i componenti del consiglio direttivo il Presidente sia Francesco Mannino, ex membro del Centro sociale Experia.

Come si può vedere da questa foto, Mannino e Salvatore Contraffatto, attuale Presidente della CDO Sicilia Orientale, hanno un comune interesse: la valorizzazione del patrimonio culturale della città. [29]
In parole povere: la gentrificazione tramite la turistificazione del territorio.

La partecipazione di una associazione, presieduta da un ex membro dell’Experia, ad un Festival che promuove una visione della famiglia come luogo di conservazione e diffusione di valori economici e neoecumenici – e quindi per il rilancio del sistema economico italiano -, è un interessante cortocircuito.
Ma forse la spiegazione di tutto ciò sta nella parola “Rete”, un sistema affaristico e corporativistico atto a favorire e promuovere i membri affiliati alla CdO in qualunque momento, ma sempre rispettando i sacrosanti valori cristiani indicati a suo tempo da don Giussani.

Note
[1] Vedere “La campagna elettorale permanente ovvero Tutto cambia perchè nulla cambi”. Link: https://gruppoanarchicochimera.noblogs.org/post/2018/09/10/la-campagna-elettorale-permanente-ovvero-tutto-cambia-perche-nulla-cambi/
[2] “Quelli che sognano le piccole città di Dio”, La Repubblica dell’11 Gennaio 2008. Link: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/01/11/quelli-che-sognano-le-piccole-citta-di.html
[3] “Formigoni condannato a 5 anni e 10 mesi. Già in carcere a Bollate”, ilSole24ore del 22 Febbraio 2019. Link: https://www.ilsole24ore.com/art/formigoni-condannato-5-anni-e-10-mesi-cassazione-ABfZhxWB
[4] (a cura di) Julián Carrón, “Luigi Giussani. Una strana compagnia”, BUR Rizzoli, 2017
[5] “La Compagnia delle Opere: riflessioni su un’esperienza, esperienze in riflessione”, Meeting di Comunione e Liberazione del 22-29 Agosto 1987. Link: https://www.meetingrimini.org/wp-content/uploads/docs/eventi/459_3.htm
[6] Link: https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091981_laborem-exercens.html
[7] Ferruccio Pinotti, “La lobby di Dio”, Chiarelettere, 2010, pag. 89
[8] “Compagnia delle opere: cosa fa il braccio economico di Cl”, tg24.sky.it del 3 Dicembre 2010. Link: https://tg24.sky.it/economia/2010/12/03/anticipazione_libro_la_lobby_di_dio_ferruccio_pinotti_chiarelettere_comunione_e_liberazione_compagnia_delle_opere.html
[9] Intervista di Ferruccio Pinotti a Bernhard Scholz, Meeting di Rimini 2009.
[10] La CdO e le banche stipulano convenzioni sotto forma di mutui a tassi agevolati o di programmi di prestito per il rientro dai debiti. Ciò avviene perché le banche considerano le aziende legate alla CdO più forti e più solide delle altre. Per ulteriori informazioni vedere i seguenti link: https://www.pmitutoring.it/application/files/9615/1006/6036/convenzione_INTESA_SANPAOLO.pdf
http://www.cdobg.it/servizi/servizi-finanziari-cdo/
[11] I partneriati tra Finmeccanica e CdO sono dimostrati dal “Matching”, un evento organizzato da quest’ultima presso la Fiera di Milano. L’evento consente alle aziende legate alla CdO (e quindi a CL) di stringere accordi e collaborazioni con aziende, associazioni e società. Per ulteriori dettagli tra Finmeccanica e CdO vedere l’articolo “Finmeccanica e Compagnia delle Opere promuovono l’innovazione”, IlGiornale del 9 Aprile 2010. Link: http://www.ilgiornale.it/news/finmeccanica-e-compagnia-delle-opere-promuovono-l.html
[12] “Al via collaborazione tra Intesa Sanpaolo e Compagnia delle Opere”, vita.it del 9 Novembre 2018. Link: http://www.vita.it/it/article/2018/11/09/al-via-collaborazione-tra-intesa-sanpaolo-e-compagnia-delle-opere/149687/
[13] “Quando gli affari si fanno in compagnia”, altraeconomia del 18 Maggio 2011. Link: https://altreconomia.it/quando-gli-affari-si-fanno-in-compagnia/
[14] Giampiero Rossi, “La regola: Giorno per giorno la ‘ndrangheta in Lombardia”, Laterza, 2015
[15] Link: https://www.itacaedizioni.it/autori/bernhard-scholz
[16] Link: http://www.sussidiarieta.net/it/mission?apri=La%20Fondazione
[17] Pinotti, op. cit., pag. 230
[18] I rapporti tra CdO e Sicindustria e ConfAPI (acronimo Confederazione delle Associazioni Piccole e Medie Imprese) sono sempre stati tesi. Nel caso della Finanziaria Regionale del 2002, ad esempio, sono state escluse queste ultime due sigle per avvantaggiare la Compagnia delle Opere. Vedi “Boom della Compagnia delle opere, la lobby che ha battuto Sicindustria”, laRepubblica del 9 Aprile 2002. Link: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/09/boom-della-compagnia-delle-opere-la-lobby.html
Pur essendoci stati degli screzi tra Sicindustria e Compagnia delle opere, i due gruppi di potere non si fanno la guerra ma, anzi, cercano di trovare dei punti in comune. Vedi Pinotti, op. cit., pag. 240
[19] Gli articoli e i commi a cui ci riferiamo sono i seguenti:
Art. 7. IRAP[…]
5. Le organizzazioni non lucrative di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383 e le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 sono esenti dall’imposta sulle attività produttive.”
“Art. 97 Contributo Fondazione banco alimentare.
Per il conseguimento delle finalità e l’utilizzazione di parte delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, assegnato alla Regione ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, l’Assessorato regionale degli enti locali è autorizzato a concedere un contributo annuo di 775 migliaia di euro in favore della Fondazione banco alimentare Onlus, per il sostegno all’attività da questa svolta nel territorio della Regione, anche attraverso propri comitati, sezioni, articolazioni e dipendenze, di somministrazione di generi alimentari e di prima necessità in favore di enti ed organizzazioni direttamente impegnati nell’assistenza verso categorie sociali marginalizzate o verso altre forme di povertà estrema.”

Link: http://www.gurs.regione.sicilia.it/Gazzette/g02-14.HTM
[20] Nel Settembre 2018 la Morgan Stanley acquista Etnapolis dalla Roberto Abate SpA, pagandola 90 milioni di euro. A questa mossa – dettata dal forte indebitamento della società e della crisi delle vendite – si sommano anche i licenziamenti.
Vedere i seguenti articoli:
Crisi Gruppo Abate, Ponzo (Cisl): “Nessun licenziamento ma ‘solidarietà’”. Etnapolis acquistata da Morgan Stanley”, Corriere Etneo del 23 Settembre 2018. Link: https://www.corrieretneo.it/2018/09/23/crisi-gruppo-abate-ponzo-cisl-nessun-licenziamento-ma-solidarieta-etnapolis-acquistata-da-morgan-stanley/?cn-reloaded=1
La GDO della Sicilia orientale in crisi: dopo Spaccio Alimentare (Fratelli Cambria) anche il Gruppo Abate sembra in difficoltà”, gdonews del 23 Settembre 2018. Link: https://www.gdonews.it/2018/09/23/la-gdo-della-sicilia-orientale-in-crisi-dopo-spaccio-alimentare-fratelli-cambria-anche-il-gruppo-abate-sembra-in-difficolta/
[21] Link: https://catania.meridionews.it/articolo/75212/roberto-abate-spa-ordinato-sequestro-di-patrimonio-procura-di-catania-chiede-il-fallimento-della-societa/
[22] Link: https://www.reportaziende.it/lillo_sicilia_srl
[23] Link: https://www.mdspa.it/solidarieta
[24] Link: https://www.reportaziende.it/fratelli_arena_srl
[25] “La famiglia come “bene comune” nella seconda edizione del festival siciliano,” vita.it del 9 Giugno 2019. Link: http://www.vita.it/it/article/2019/06/09/la-famiglia-come-bene-comune-nella-seconda-edizione-del-festival-sicil/151839/
[26] “Una Sicilia a misura di Famiglia. Al via il secondo Festival“, livesiciliacatania del 10 Maggio 2019. Link: https://catania.livesicilia.it/2019/05/10/una-sicilia-a-misura-di-famiglia-al-via-il-secondo-festival_496219/
[27] In fondo al link (http://www.siciliafamiglia.it/) vi sono tutte le associazioni non menzionate nella lista
[28] Link: http://www.officineculturali.net/mission.htm
[29] “«I giovani, innanzitutto – ha spiegato Contrafatto – per valorizzare anche il ruolo formativo della Cdo. Cominciamo a dimostrare quest’attenzione sin dalla composizione del nuovo direttivo, formato da professionisti e imprenditori che in molti casi hanno meno di 40 anni e insieme ai quali vogliamo raccogliere le sfide del futuro. Sfide che passano innanzitutto dalla comprensione di quali possano essere davvero i settori trainanti dello sviluppo economico del territorio, a cominciare dalla combinazione tra i comparti agroalimentare e turistico, su cui ci proponiamo di fare un lavoro serio con i nostri associati. Infine – ha concluso il neo presidente – vogliamo coinvolgere tutti sul tema della responsabilità sociale d’impresa, che più di tutti appartiene alla vocazione della nostra associazione».”, “Salvatore Contrafatto nuovo presidente Compagnia delle Opere Sicilia orientale”, La Sicilia del 27 Gennaio 2018. Link: https://www.lasicilia.it/news/home/136293/salvatore-contrafatto-nuovo-presidente-compagnia-delle-opere-sicilia-orientale.html

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If first Pride was a riot, why you are not rioting now?

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Zeffirelli è morto e ce ne faremo una ragione

I morti ci dirigono; i morti ci comandano, i morti prendono il posto dei vivi. […] Tutte le nostre feste, tutte le nostre glorificazioni, sono anniversari di morti e di massacri. […] I morti ostruiscono le città, le strade, le piazze. Li incontriamo in marmo, in pietra, in bronzo; questa iscrizione ci dice la loro nascita, quest’altra la loro dimora. […] Il culto dei morti è una delle più grossolane aberrazioni dei vivi. E’ un residuato delle religioni promettenti il paradiso. […] Ma dal punto di vista generale, la morte non esiste. Non vi è che la vita. Dopo ciò che noi chiamiamo morte, il fenomeno della trasformazione continua. L’ossigeno, l’idrogeno, il gas, i minerali vanno, sotto forme diverse, ad associarsi in nuove combinazioni contribuendo all’esistenza di altri esseri viventi. Non vi è morte, vi è circolazione dei corpi, modificazione negli aspetti della materia e dell’energia, continuazione incessante nel tempo e nello spazio della vita e dell’attività universale. […] Bisogna abbattere le piramidi, i tumuli, le tombe; bisogna passare l’aratro nel chiuso dei cimiteri alfine di sbarazzare l’umanità di quello che si chiama il rispetto dei morti, di quello che è il culto della carogna.
(Albert Libertad, “Il Culto della Carogna”, tratto dal libro Albert Libertad, “Il Culto della Carogna e altri testi tratti da “l’Anarchie””, Edizioni Anarchismo, Marzo 1981)

 

 

Il 15 giugno muore Franco Zeffirelli o “Scespirelli” per citare Ennio Flaiano. Seguendo le impennate retoriche che si sono diffuse dopo la sua morte, la santificazione di un personaggio dubbio come Zeffirelli serve ad una certa èlite di potere che rafforza sè stessa attraverso i suoi “santi”. In questo clima propagandistico di totale adorazione non c’è spazio per lo scetticismo nei confronti di un personaggio del genere.
Non stupisce quindi che in una città come Catania (città a maggioranza di destra) gli si voglia dedicare uno spazio apparentemente perchè egli valorizzò la città girando film come “Storia di una Capinera” o, giusto per citare l’attuale sindaco Salvo Pogliese, perchè “Zeffirelli 25 anni addietro, nel collegio di Catania, fu eletto senatore della Repubblica, accrescendo il suo attaccamento al territorio etneo. E proprio per mantenere viva, anche alle future generazioni, la memoria del suo geniale talento artistico e culturale intitoleremo a Franco Zeffirelli un importante spazio culturale cittadino che ne ricordi anche il suo forte e prolifico legame con Catania”. [1]

Cerchiamo di ricordare chi fosse veramente Zeffirelli, tracciando una linea netta tra chi lo santifica e chi, invece, crede che il personale essendo politico ritenga impossibile un’operazione del genere.
Zeffirelli ha sempre tenuto intime relazioni con personaggi quali Silvio Berlusconi, diventando Senatore nel ‘94 per Forza Italia e sostenendo quest’ultima quando era all’opposizione durante il governo di centro-sinistra (1996-2001). Omosessuale dichiarato, Zeffirelli si era posto contro l’aborto e il movimento omosessuale ed LGBTQIA.

A seguito delle dichiarazioni del Cardinale Giacomo Biffi sull’aborto [2], Zeffirelli propose di mettere a morte le donne che abortiscono perché “il crimine di chi uccide una creatura che non ha modo di difendersi non ha eguali. Non c’è nulla di cosi’ sinistro, di così orrendo”. “La vita,” sosteneva Zeffirelli, “non va mai fermata, questo è il principio. Va fermata la vita di chi ci rompe le scatole. Io metterei, sì, la ghigliottina in piazza del popolo per gli eroi di tangentopoli. Quelle vite andrebbero fermate. Mi meraviglia che il papa sia stato cosi incerto, così poco forte. Non è possibile accettare questo massacro di innocenti. […] Gli stessi che promuovono l’assassinio dei bambini, si oppongono alla pena di morte dei criminali. Sono gli stessi… tutto quel pannellame lì. Da anni rompono le scatole, mandano in giro Negri, mandano in giro Cicciolina. Sono gli stessi, sono la cialtroneria opportunistica incolta della nostra cultura contemporanea. Quelli stessi che ammazzano i fanciulli, i bambini che già esistono, a cui batte il cuore nel ventre materno e poi un assassino che ha stuprato 12 bambine, quello deve continuare a vivere, non solo, ma noi dobbiamo mantenerlo con il sudore della nostra fronte. Il mondo di oggi è un pasticcio di gente che non capisce un accidente. La confusione è totale”. [3]

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera sulle nozze gay, Zeffirelli rispose che “non c’è alcun bisogno di mettersi lì a creare una pseudofamiglia “legale” a vanvera, per me ridicola e inaccettabile. Basta sistemare le cose tra persone civili: se viviamo insieme e magari compriamo una casa, chiariamo anche le questioni delle quote, tra persone intelligenti che si vogliono bene. Basta un atto privato fatto come si deve. Punto e basta.” [4]
Quando il giornalista chiese se fosse contrario o meno alle adozioni per le coppie gay, Zeffirelli rispose in modo affermativo, aggiungendo: “invece di perder tempo a legiferare in questo campo assurdo, il nuovo governo farebbe bene a varare solide politiche di sostegno alla famiglia vera, quella tradizionale, con un babbo e una mamma. Qui in Italia non si fanno più figlioli. Tra poco la prole degli immigrati riempirà le nostre città. Pensiamo a questo, dico. Perché la gente che ha un concetto semplice e naturale della propria esistenza, quindi la stragrande maggioranza degli italiani, ha bisogno di una politica che lo aiuti a creare una famiglia. Oppure i gay facciano per esempio come ho scelto io.” [4]
Questa ostilità di Zeffirelli viene spiegata come una sua opposizione alla volubilità di quelle unioni non eterosessuali. “Come ho già detto,” continuò Zeffirelli nell’intervista, “conosco molti amici gay che vivono in coppia. Ma sono scelte mature, ponderate. In età più giovane, ci si prende, ci si lascia con grande facilità: non c’è un legame di consacrazione e quindi si tende a svicolare. È un mondo incostante, insomma. Quanto di meno adatto per crescere un figlio che ha diritto ad essere nutrito e accudito non solo dal punto di vista materiale ma nei passaggi più delicati in cui si edifica un’esistenza. Un bambino ha diritto ad avere genitori autorevoli: e poi una rete di parentele fatta di nonni, di zii, di cugini. Con una coppia gay si rischia di creare un disagio. Certo, se ci mettiamo a minare anche un’istituzione fondamentale per la società come il matrimonio tra un uomo e una donna ci prepariamo un futuro veramente molto brutto” [4]

Nel 2013, Zeffirelli manifestò il suo disprezzo verso i Pride in quanto “esibizioni veramente oscene, con tutta quella turba sculettante. La parola gay stessa è frutto della cultura puritana, una maniera stupida di chiamare gli omosessuali, per indicarli come fossero dei pazzerelli. [essere omosessuale] è un impegno molto serio con noi stessi e con la società. Una tradizione antica e spesso di alto livello intellettuale, pensi solo al Rinascimento. Nella cultura greca l’esercito portava gran rispetto a due guerrieri che fossero amici e amanti, perché in battaglia non difendevano solo la patria, ma reciprocamente anche se stessi, offrendo una raddoppiata forza contro il nemico”. [5]

Questo tipo di dichiarazioni antiabortiste, sessuofobe ed omofobe da parte di un personaggio dichiaratamente omosessuale non ci deve affatto stupire o inorridire. La logica zeffirelliana rientra nell’omonormatività e nell’omonazionalismo, fenomeni che allineano persone e lotte non eterosessuali a norme quali la protezione dei privilegi sociali ed economici, controllo dei corpi, benaltrismo, supportare lo Stato-nazione e le violenze di Stato etc.

Risulta chiaro, quindi, come Zeffirelli venga osannato da gente come Salvo Pogliese e da Silvio Berlusconi; egli rappresentava il perfetto testimonial di un sistema egemonico culturale di destra perfetto in una città come Catania – che sta vivendo sempre più un processo gentrificativo, metà camicia nera e metà manganello .
Citando il Morandini, il cinema di Zeffirelli rappresentava un “olegrafia sentimentale, cartoline illustrate per l’export, fatuità da classe vip, banalità melodrammatica ecc”.
Sciespirelli è morto, fatevene una ragione .

Note
[1] “Pogliese: “Catania dedicherà uno spazio culturale a Zeffirelli””, Cataniatoday del 15 Giugno 2019.
Link: https://www.cataniatoday.it/cronaca/pogliese-catania-dedichera-uno-spazio-culturale-a-zeffirelli.html
[2] “Chi tollera l’aborto, non condanni la mafia,” LaRepubblica del 7 Febbraio 1993. Link: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/02/07/chi-tollera-aborto-non-condanni.html?ref=search
[3] “Aborto: Zeffirelli. Pena di morte per chi abortisce”, adnkronos del 19 Marzo 1993. Link: http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1993/03/19/Altro/ABORTO-ZEFFIRELLI—PENA-DI-MORTE-PER-CHI-ABORTISCE_175800.php
[4] “«Nozze gay? Ridicole, ha ragione il Papa. Fate come me: ho adottato due figli adulti». Un’intervista di Paolo Conti a Franco Zeffirelli”, Corriere della Sera del 7 Giugno 2006. Link: http://www.gliscritti.it/blog/entry/1993
[5] L’Espresso, 5 Luglio 2013

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La guerra e gli anarchici

Articolo tratto da “La Guerra Tripolina”, numero unico pubblicato a Londra nell’Aprile 1912 [1] [2].
L’articolo e le note allegate sono tratte dal libro curato da Turcato Davide, “Errico Malatesta. Opere Complete. “Lo sciopero armato. Il lungo esilio londinese (1900-1913)”, pagg. 243-247, Edizione “Zero In Condotta” e “La Fiaccola”, Marzo 2015.
È stata aggiunta anche una nota tratta dal libro di Bettini Leonardo, “Bibliografia dell’anarchismo. Volume 1, tomo 2. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all’estero. 1872-1971”, pagg. 159-160, CP Editrice, 1976.

Non v’è azione nefanda, non passione malvagia che non si cerchi dagl’interessati di scusare, giustificare ed anche glorificare con nobili motivi. Questo è in fondo una cosa consolante, poiché dimostra che certi ideali superiori elaborati dall’umanità nel corso della sua evoluzione sono entrati oramai nella coscienza universale e sopravvivono e s’impongono anche nei momenti di maggiore aberrazione; ma non è perciò meno necessario di svelare l’inganno e denunziare gl’interessi sordidi e le brutalità ataviche che si ascondono sotto il manto di nobili sentimenti. Cosi, a giustificare e far accettare dal popolo la guerra di rapina ehe il governo d ’Italia intendeva perpetrare contro le popolazioni della Libia non poteva bastare l’annuncio bugiardo della facilità dell’impresa e dei grandi vantaggi economici che ne sarebbero venuti al proletariato italiano. Sarebbe veramente troppo il voler indurre un uomo, che non fosse un bruto completo, a commettere un assassinio dicendogli solo che l’assassinando è inerme ed ha molti quattrini e che non v’è pericolo di essere scoperto e punito! Bisognava dunque addurre ragioni più elevate e persuadere gl’ingenui che si era di fronte ad un caso raro in cui era possibile arricchirsi facendo un’azione generosa e magnanima. F tiraron fuori la necessità di sviluppare «le energie della razza.» e mostrare al mondo il valore di «nostra gente,» il diritto ed il dovere di propagare la civiltà, e soprattut[t]o l’amor di patria e la gloria d’Italia.
Non ci occuperemo qui dei pretesi vantaggi materiali, primo perchè per noi essi non giustificherebbero l’aggressione e poi perchè oramai a questi vantaggi pochi ci credono più. a meno che non si tratti dei profitti di un piccolo numero di accaparratori e di fornitori militari. Ma esamineremo, chè ne vale la pena, le ragioni morali con cui si è voluto giustificare la guerra.
L’Italia, si è detto, non occupa nel mondo il posto che le compete. Gl’italiani non hanno coscienza delle loro energie potenziali: bisogna scuotersi ed uscire dal letargo. La vita è energia, è forza, è azione, è lotta, e noi vogliamo vivere! Sta benissimo. Ma poiché siamo uomini e non bestie brute e la vita che vogliam vivere è vita umana, bisognerà pure che l’energia da spiegare abbia delle qualificazioni. È forse l’energia della bestia da preda quella a cui si aspira? O quella del bravaccio, del brigante, dello sbirro, del boja? O quella – e forse questo è il paragone che meglio si attaglia al caso — del bruto vigliacco che, avendone toccato in piazza, torna a casa e dà prova di bravura… bastonando la moglie?
L’energia della gente civile, la forza che produce davvero intensità di vita non è quella che si spiega nelle lotte inter-umane, colla prepotenza contro i deboli, coll’oppressione dei vinti. Ma è quella che si esercita nella lotta contro le forze avverse della natura, nei compiti del lavoro fecondo, nelle ardue ricerche della scienza, nell’ajutare a progredire quelli che restano indietro, nel sollevare i caduti, nel conquistare per tutti gli esseri umani sempre maggiore potenza e maggiore benessere. Si, certo, gl’italiani mancano di energia. La borghesia, pavida ed inerte, non sa nemmeno sfruttare i lavoratori che si offrono e li costringe ad andare a farsi sfruttare all’estero; ed i lavoratori si lasciano cacciar via dal loro paese in cerca di un tozzo di pane, ed ora si fanno mandare in Libia ad ammazzare e farsi ammazzare per il benefizio di pochi ingordi speculatori, per conquistare nuove terre a coloro che impediscon loro di godere delle terre d’Italia. Ma non è la guerra che darà loro energia e volontà di progredire, come non dà energia a chi non sa e non vuol lavorare il mettersi a vivere di furto e di prostituzione.
Lavorare e pretendere il frutto del loro lavoro, ecco ciò che bisogna agl’italiani, come a tutti gli altri popoli.
Noi, dicono i guerrajuoli, apportiamo la civiltà ai barbari.
Vediamo un po’.
Civiltà significa ricchezza, scienza, libertà, fratellanza, giustizia: significa sviluppo materiale, morale ed intellettuale: significa l’abbandono e la condanna della lotta brutale, ed il progredire della solidarietà e della cooperazione cosciente e volontaria. Civilizzare importa anzitutto ispirare il sentimento della libertà e della dignità umana, elevare il valore della vita, spronare all’attività ed all’iniziativa, rispettare gl’individui e gli aggruppamenti naturali o volontari che gli uomini fanno. È questo che vanno a fare in Africa i soldati d’Italia al servizio del Banco di Roma?
Malgrado Verbicaro [3] e la Camorra, malgrado l’analfabetismo, malgrado le terre incolte e malariche e le migliaja di comuni senza acqua, senza strade, senza fogne, l’Italia è pur sempre più civile della Libia. Essa ha operai abili e forti; essa ha medici, ingegneri, agronomi, artisti: essa ha grandi tradizioni, ha tutto un popolo intelligente e gentile che. quando non è stato soffocato dalla miseria e dalla tirannia, si è mostrato sempre capace delle opere più ardue e più nobili. Essa potrebbe ascendere rapidamente alle più alte vette della civiltà umana e divenire nel mondo un possente fattore di progresso e di giustizia.
E invece, ingannata ed ubbriacata da coloro stessi che l’opprimono e la sfruttano e le impediscono di sviluppiate le sue qualità e le sue ricchezze, essa manda in Africa soldati e preti, essa porta strage e rapina, e nel tentativo infame di ridurre in schiavitù un popolo straniero, essa s’imbrutisce e si fa schiava essa stessa. Venga presto l’ora del ravvedimento!
E veniamo all’argomento magno: il patriottismo.
Il sentimento patriottico ha incontestabilmente un fascino grande in tutti i paesi e serve ammirevolmente agli sfruttatori del popolo per far perder di vista gli antagonismi di classe e, in nome di una solidarietà ideale di razza e di nazione, trascinare gli oppressi a servire, contro di loro stessi, gl’interessi degli oppressori. E ciò riesce tanto più facilmente in un paese come l’Italia che è stato lungamente oppresso dallo straniero e se ne è liberato solo ieri dopo lotte cruenti e gloriose.
Ma in che consiste propriamente il patriottismo?
L’amore del loco natio. o piuttosto il maggiore amore per il luogo dove siamo stati allevati, dove abbiamo ricevute le carezze materne, dove bambini giocammo coi bambini, e giovanetti conquistammo il primo bacio di una fanciulla amata, la preferenza per la lingua che comprendiamo meglio e quindi le più intime relazioni con coloro che la parlano, sono fatti naturali e benefici. Benefici, perchè, mentre riscaldano il cuore di più vivi palpiti e stringono più solidi vincoli di solidarietà nei varii gruppi umani e favoriscono l’originalità dei varii tipi non fanno male ad alcuno e non contrastano, anzi favoriscono, il progresso generale.
E se le dette preferenze non rendono ciechi ai meriti altrui ed ai proprii difetti, se non vi fanno sprezzatori di una più vasta cultura e di più vaste relazioni, se non ispirano una vanità e boria ridicole che fa credere che si vai meglio di un altro perchè si è nati all’ombra di un certo campanile o in certi dati confini, allora esse possono riuscire elemento necessario nell’evoluzione futura dell’umanità. Poiché, abolite quasi le distanze dai progressi della meccanica, aboliti dalla libertà gli ostacoli politici, aboliti dall’agiatezza generale gli ostacoli economici, esse restano la garenzia migliore contro il rapido accorrere di masse enormi di emigranti verso i siti più favoriti dalla natura o meglio preparati dal lavoro delle generazioni passate: cosa che creerebbe un grave pericolo per il pacifico progredire della civiltà. Ma non è solo da questi sentimenti che è alimentato il cosiddetto patriottismo. Nell’antichità l’oppressione dell’uomo sull’uomo si compieva principalmente a mezzo della guerra e della conquista. Era lo straniero vincitore che s’impadroniva delle terre, che costringeva gl’indigeni a lavorarle per lui. ed era, se non l’unico, certo il più duro ed esecralo padrone. E questo stato di cose, se è quasi sparito nelle nazioni di razza europea, dove il padrone è ora il più delle volte un compatriota delle sue vittime, resta ancora il carattere prevalente nei rapporti degli europei coi popoli di altra razza. Quindi la lotta contro l’oppressore ha avuto ed ha spesso ancora il carattere di lotta contro lo straniero. Disgraziatamente, ma comprensibilmente, l’odio dello straniero in quanto oppressore divenne odio dello straniero in quanto straniero, c trasformò il dolce amor di patria in quel sentimento di antipatia e di rivalità verso gli altri popoli, che si suol chiamare patriottismo, e che gli oppressori indigeni dei varii paesi sfruttano a loro vantaggio. E compito della civiltà è di dissipare questo equivoco nefasto, ed affratellare i popoli tutti nella lotta per il bene comune. Noi siamo internazionalisti, vale a dire che. conte dalla patria minuscola, che si raccoglieva intorno ad una tenda o ad un campanile e viveva in guerra colle tribù o coi comuni circostanti si è passato alla più grande patria regionale e nazionale, così noi estendiamo la patria al mondo tutto, ci sentiamo fratelli di tutti gli esseri umani e vogliamo benessere, libertà, autonomia per tutti gl’individui e tutte le collettività.
Come per i cristiani, all’epoca in cui il Cristianesimo era creduto e sentito, la patria era la Cristianità tutta quanta e lo straniero da convertire o da distruggere era il pagano, cosi per noi son fratelli lutti gli oppressi, tutti coloro che lottano per l’emancipazione umana – e sono nemici tutti gli oppressori, tutti coloro che il proprio bene fondano sul male altrui, dovunque essi sien nati e qualunque sia la lingua che parlano.
Noi aborriamo la guerra, fratricida sempre e dannosa, e vogliamo la rivoluzione sociale liberatrice: noi deprechiamo le lotte fra i popoli ed invochiamo la lotta contro le classi dominanti. Ma se disgraziatamente un conflitto avviene fra popolo e popolo, noi siamo con quel popolo che difende la sua indipendenza. Quando le soldatesche austriache scorazzavano le campagne lombarde e le forche di Francesco Giuseppe si ergevano sulle piazze d’Italia, nobile e santa era la rivolta degl’italiani contro il tiranno austriaco. Oggi che l’Italia va ad invadere un altro paese e sulla piazza del mercato di Tripoli si erge e strangola la forca infame di Vittorio Emanuele, nobile e santa è la rivolta degli arabi contro il tiranno italiano. Per l’onore d’Italia, noi speriamo che il popolo italiano rinsavito, sappia imporre al governo il ritiro dall’Africa: e se no. speriamo che gli arabi riescano a cacciamelo.
E cosi pensando, siamo ancora noi «gli antipatrioti» che avrem salvato in faccia alla storia, in faccia all’umanità, quanto vi è di salvabile dell’onore d’Italia. Sarem noi che avrem mostrato che non è completamente spento in Italia il sentimento che animò e Mazzini e Garibaldi e tutta quella schiera gloriosa d’italiani che coprì delle sue ossa tutti i campi di battaglia di Europa e di America dove si combattè una santa battaglia, e fece caro il nome d’Italia a quanti, in tutti i paesi, avevano un pàlpito per la causa della libertà, dell’indipendenza, della giustizia.
Errico Malatesta

Note
[1] La Guerra Tripolina, che recava il generico sottotitolo «Pubblicazione di un Gruppo Anarchico». fu pubblicato dal gruppo di Malatesta per manifestare il suo punto di vista sulla guerra italo-turca e il militarismo. Il giornale si apriva con la dichiarazione di aver ricevuto e registrato «con piacere» l’adesione del Gruppo Rivoluzionario Italiano di Parigi. Fra i collaboratori vi erano Felice Vezzani e Silvio Corio. Secondo confidenti del consolato italiano a Londra, della pubblicazione furono stampate 5000 copie, distribuite gratuitamente.
[2] Nell’apr. 1912, la pubblicazione, a Londra, del n.u. La Guerra Tripolina, con cui Malatesta aveva preso posizione contro l’avventura libica e la guerra italo-turca, aveva provocato l’inevitabile reazione degli ambienti nazionalistici italiani. Dal coro di voci ostili al pacifismo « antipatriottico » di Malatesta, era emersa anche una voce calunniosa e chiaramente provocatoria, che accusava il vecchio rivoluzionario d’essere un agente al soldo del governo turco. L’insinuazione, tanto grave quanto assurda, veniva da certo Ennio Bellelli, un ambiguo personaggio, dai lucrosi quanto oscuri proventi, infiltratosi negli ambienti anarchici londinesi — dove si atteggiava a compagno — ma già da tempo sospettato d’essere al servizio della polizia italiana. Il fatto, tuttavia, parve a Malatesta l’occasione favorevole per far luce definitivamente sulla reale attività del suo accusatore, in quanto gli consentiva, ritorcendo l’accusa, di deferire il giudizio sulla verità dei fatti, a un giurì d’onore; ciò che significava, in pratica, demandare, a un organismo non giuridico, l’apertura di una inchiesta sui trascorsi del Bellelli e la verifica di taluni aspetti poco chiari, o addirittura sospetti, del suo comportamento. «Troppo appariscenti sono i motivi dell’insana calunnia! — scriveva infatti Malatesta, in una circolare Alla colonia italiana di Londra, diffusa il 22 apr. 1912 — ed io non ne terrei alcun conto se essa non venisse da Bellelli e non mi porgesse il destro di andare a fondo di una questione che da anni tormenta me e tutti, o quasi, coloro che il Bellelli conoscono … Io m’impegno a dimostrare come guadagno ogni centesimo di cui dispongo, da dove viene ogni boccon di pane che metto in bocca; il Bellelli faccia altrettanto. Se io non dimostro a soddisfazione di tutti, amici e avversari, l’origine chiara ed onesta dei miei mezzi di vita, io autorizzo la gente a trattarmi di SPIA TURCA; se il Bellelli non fa lo stesso, permetterà che si ritenga provato ch’egli è una SPIA ITALIANA ». La sfida non venne ovviamente raccolta dal Bellelli, che preferì schivare il verdetto popolare e adire le vie legali, sporgendo querela per diffamazione. Il processo che ne seguì, si chiuse il 20 mag., con una sentenza di colpevolezza per Malatesta e la condanna a tre mesi di reclusione (la domanda di appello alla Corte superiore venne respinta), poi interamente scontati nelle carceri di Wormwood Scrubb; e fu solo sotto la pressione d’una generale indignazione per l’incredibile verdetto e dell’immediata presa di posizione degli ambienti democratici inglesi (sulle molte iniziative prese, a mezzo di comizi e pubblicazioni, vd. M. Nettlau, Errico Malatesta, New York [1922], p. 268 sq.), che venne accantonata la richiesta di espulsione di Malatesta dal Regno Unito, avanzata al Segretario degli Interni. A tutta la vicenda è appunto dedicato il n.u. La Gogna, diffuso nel lug. 1912 da « Alcuni anarchici », nell’intento di provare sulla scorta delle documentazioni e delle testimonianze che fu possibile raccogliere, la malafede del querelante, bollato ormai dal « giudizio del popolo », anche « se è mancata la cosiddetta prova legale ». È stato, infatti, proprio il popolo inglese — è detto — che agitandosi con ogni mezzo per la liberazione di Malatesta, «ha reso giustizia al suo vecchio amico».
[3] Quando il paese calabrese di Verbicaro fu colpito da un’epidemia di colera nel 1911. scoppiò una violenta rivolta contro le autorità locali, considerate responsabili dell’epidemia. L’episodio fece scalpore e fu interpretato come una manifestazione di primitiva barbarie. Il governo di Giovanni Giolitti affrontò la rivolta più come una questione di ordine pubblico che di sanità pubblica. Segui un’intensa campagna di repressione e il paese fu occupato militarmente dall’esercito per i successivi tre anni.

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“Con l’acqua alla gola” Appunti per uno studio sulla ristrutturazione borghese in Sicilia

 

Presentazione

Nell’ultimo anno e mezzo la Sicilia ed il territorio di Catania hanno visto la presenza di una serie di interventi di varia natura. La rivalorizzazione delle risorse sfruttabili presenti nell’isola, l’utilizzo di fondi provenienti dall’Unione europea, gli investimenti di privati e pubblici e le azioni dei blocchi di potere locali, in particolare delle città principali, ridisegnano la geografia economica e sociale.
Questo ci è sembrato un chiaro tentativo di ristrutturazione attuato dalle classi borghesi siciliane e dalla spartizione di risorse con vari altri poteri.
Nella “nuova” Città Metropolitana di Catania gli sgomberi effettuati nell’ultimo anno all’interno del quartiere di San Berillo e il progetto di creazione di Zone Economiche Speciali sono tra gli strumenti, non gli unici sia ben chiaro, di una strategia di gentrificazione e ristrutturazione.
Abbiamo deciso di parlarne dividendo il testo in due parti:
-nella prima parte sono presenti le informazioni relative a quanto accaduto fino a Marzo 2018;
-nella seconda parte vi è un aggiornamento del contenuto e delle informazioni fino ad Aprile 2019 che include anche alcune riflessioni risalenti a testi, opuscoli ed articoli usciti precedentemente.


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Pubblicato in Documenti | Contrassegnato | Commenti disabilitati su “Con l’acqua alla gola” Appunti per uno studio sulla ristrutturazione borghese in Sicilia

Incontro sul subvertising (4 Maggio)

Noi organizziamo solo il detonatore: l’esplosione libera dovrà scapparci per sempre, e scappare a qualsiasi altro controllo” (L’Internationale Situationniste)

Siamo talmente immersi nella promozione e pubblicità da non vederla; la accettiamo incondizionatamente, senza riflessione e senza opposizione. Le multinazionali invadono i nostri spazi, occupano strade, muri, palazzi e pezzi di cielo con messaggi ridondanti e miranti a soddisfare quelli che loro reputano i nostri bisogni.
Riprendersi questi spazi significa, letteralmente, impossessarsi dei cartelloni, dei manifesti, delle strade e di tutti quei luoghi che le società pubblicitarie e le multinazionali hanno tolto alle comunità. Lasciandoci spettatori passivi, in mondo spettacolarizzato.
Occorre quindi sviluppare un sabotaggio.
Nascono così il Subvertising, letteralmente il sovvertimento della pubblicità, ed il Brandalism, il vandalismo del brand, forme di ribellione artistiche e politiche di ripresa degli spazi. Strumenti che, come teorizzava Guy Debord, permettono al proletariato di ritornare ad essere elemento attivo e non passivo in questa società dello spettacolo.
Da consumatori di merce a individui.

Il 4 Maggio presso il Teatro Coppola – Teatro dei cittadini di Catania, che si ringrazia per l’ospitalità, si è svolto incontro organizzato dal Gruppo Anarchico Chimera proprio sul tema del Subvertising. Ospiti della serata sono stati diversi artisti, in particolare Hogre, Ceffon, Illustre Feccia, Illusione Felice e dalla Gran Bretagna Matt, gli Special Patrol Group e Michelle.

Affrontando l’argomento della nascita e della successiva forte influenza dell’ “Internationale Situationniste” sul maggio francese, si è affermato che i manifesti prodotti in quella importante fase storica hanno notevolmente contribuito alla diffusione e al successo delle lotte francesi, e che hanno influenzato anche altri momenti di lotta in Europa.
Non è un caso la finta prima pagina del quotidiano Paese Sera con la foto di Tognazzi arrestato e definito il capo delle BR, creata dal quel capolavoro che era Il Male nel lontano 1979 e che fece scalpore venendo citata dai TG dell’epoca.

Il Situazionismo riaffiora, sporadicamente, in tanti altri piccoli episodi che riescono a creare situazioni imbarazzanti anche a livello internazionale, come la famosa telefonata tra Reagan e la Thatcher creata e diffusa ad arte dai Crass, in cui i due ammettevano crimini di guerra. Viene persino citato nei film, come in “Essi Vivono” diretto da Carpenter( 1988), gioiello di fantascienza, in cui il protagonista riesce a leggere i messaggi subliminali contenuti nei cartelloni pubblicitari.

Finito, tuttavia, il gran periodo di lotte sociali e politiche degli anni 60/70, il situazionismo scompare dalla lotta politica. Siamo in piena normalizzazione.
Agli inizi degli anni ’90, in particolare in Australia e Stati Uniti nascono le grandi lotte contro la pubblicità di sigarette che hanno portato alla eliminazione dei manifesti pubblicitari, delle pubblicità in TV e successivamente ad una delle leggi antitabagismo più severe al mondo.

Nasce l’ampio movimento detto del Cultural Jamming. Il Détournement ritorna in auge. Artisti politicamente attivi realizzano che la pubblicità in strada può essere sostituita con uno strumento di comunicazione che veicola messaggi politici, mediante ironia, o mediante affermazioni chiare e dirette. Mentre le corporation investono ingenti capitali per farsi pubblicità e costruirsi un’immagine, i culture jammers, non disponendo di tali risorse, utilizzano l’energia del nemico stesso per disfarne i messaggi. Una “contropubblicità” ben fatta fa il verso alle immagini e al timbro di un certo spot, provocando la classica reazione a scoppio ritardato nel pubblico, che si accorge di trovarsi di fronte l’esatto opposto di quel che si aspettava. Una “contropubblicità” è un potente esplosivo. Spezza l’ incanto costruito dalla realtà mediata e, per un attimo, svela in maniera chiarissima il triste spettacolo che questa nasconde. La controcomunicazione funziona secondo i modelli operativi tipici della comunicazione pubblicitaria: la presenza del logo, l’appropriazione di identità di corporate, l’impiego di strategie di marketing.
In genere tre sono le tecniche utilizzate: lo sniping, il fake, il collage.

Lo sniping è una forma di terrorismo artistico. I suoi adepti, gli snipers, sferrano attacchi a colpi di bombolette spray; la loro specialità è un insidioso inserimento di segni e simboli nello spazio pubblico. Essi cambiano, correggono o spiegano i contenuti spesso latenti di manifesti, monumenti, insegne e simili o anche “détournano” muri e facciate di edifici in apparenza privi di contenuto per mezzo dei graffiti. Il termine inglese ‘sniping’ significa anche spezzettare.
Lo ‘sniper’ opera con interventi grafici o testuali, spesso frammentari. Utilizza il materiale reperito sul terreno, lo completa o lo deforma con frammenti di testo, con simboli o immagini.

Il fake costituisce una delle attività predilette dai culture jammers. Si tratta di creare falsi, imitando efficacemente la voce del potere, con una miscela di imitazione, invenzione, straniamento ed esagerazione del suo linguaggio.
È un mezzo strategico che vuole portare alla luce le strutture discorsive nascoste e introdurre interpretazioni sovversive nei testi e nel linguaggio del potere.
Alla base della sua tattica un paradosso, da un lato dovrebbe essere il meno possibile riconoscibile (la falsificazione deve essere ottima), ma allo stesso tempo deve avviare un processo di comunicazione in cui divenga chiaro che l’informazione era falsa: il fake pertanto deve essere scoperto.
Gli Special Patrol Group in questo ambito sono unici. Lo stesso nome del loro gruppo (la Special Patrol Group era una forza di polizia finalizzata a reprimere e contrastare i disordini pubblici) è un fake mirabolante. Come sono le loro azioni che hanno messo in seria difficoltà le autorità di pubblica sicurezza come Scotland Yard. Qui un loro manifesto usato per metterli in ridicolo e per comunicare dei messaggi chiari e diretti contro le politiche di repressione da parte della polizia britannica.

Nel 2014 la contro-campagna della SPG creò forte imbarazzo nei confronti dell’autorità di Pubblica Sicurezza, proprio perché utilizzando dei fake permetteva alle persone di concentrarsi su messaggi in evidente contrasto con i manifesti originali. Ancora oggi i membri della SPG sono ricercati in Gran Bretagna.
Il testo del manifesto tradotto in italiano qui riportato, è il manifesto politico della SPG.

Su loro esplicita richiesta e grazie alla traduzione di Cesare Basile, è stato prodotto il testo in siciliano, proprio per permettere a chiunque di leggerlo e di comprendere le motivazioni dell’azione chiamata #RubaQuestoPoster.

Infine come ulteriore tecnica, non meno efficace, è il collage, una tecnica formale, sviluppata all’interno del cubismo.
Il suo obiettivo originario è quello di confondere i naturali modelli di percezione della realtà. Nel collage, infatti, elementi dipinti e incollati non sono più distinguibili a prima vista. Oggetti e materiali vengono collocati in un nuovo contesto e privati del loro senso originario, attraverso una diversa interpretazione e un utilizzo che ne altera il senso. Le tecniche del collage dovrebbero produrre una poetica del diverso e dell’incoerente, pertanto è necessario che gli elementi utilizzati vengano combinati in un prodotto semanticamente ambiguo.

Qui il manifesto prodotto durante il laboratorio che permette di comprendere bene l’efficacia di questo strumento. A fianco il manifesto originale.

Ma la lotta contro le Multinazionali e le loro pubblicità non avviene solo contro i manifesti stradali.
Nascono, infatti, collettivi che iniziano a diffondere fake video, alcune talmente particolari che attirano l’attenzione dei media. Come nel caso della campagnia virale TonyisBack che utilizza il Brand della Kellogg’s Tony the Tiger.

In conclusione il manifesto più divertente ma anche il più politicamente interessante è il successivo in quanto esprime il desiderio degli SPG di condividere le informazioni in modo da permettere a tutti di hackerare uno spazio pubblicitario.

Grazie a queste informazioni il dibattito ha affrontato diversi temi come la distinzione tra guerriglia marketing e creare memes rispetto al Subvertising. Ma soprattutto gli artisti in pieno spirito Situazionista hanno ammesso che nel momento in cui le Multinazionali dovessero utilizzare modalità e tecniche del subvertising, sarà giunto per loro il momento di cambiare strategia alzando il livello. Si è ribadita, quindi, la necessità per ora di hackerare i manifesti delle multinazionali proprio per svelarne il velenoso messaggio, creando una comunicazione slegata rispetto a quella delle corporation. Questo desiderio di diffondere le pratiche è stato il fine stesso del laboratorio svoltosi il 5 maggio, durante il quale, con l’aiuto ed i suggerimenti di questi artisti sono state condivise e praticate le varie tecniche per poter effettuare azioni di subvertising.

Un paese con i muri puliti è indice di un popolo muto

Un grazie infinito ad Hogre, Illustre Feccia, Illusione Felice, Ceffon, Matt, Michelle e gli Special Patrol Group per aver condiviso il loro agire e la loro stupenda umanità.

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Venezuela: opportunisti e imbecilli al lavoro

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Introduzione

“Mai la merce sfamerà l’uomo” (cit. Amadeo Bordiga)

Nell’Introduzione dell’opuscolo “La campagna elettorale permanente” veniva scritto come “le parole sono uno dei mezzi con cui avviene la nostra comunicazione […] attraverso l’importanza e la significanza che diamo a queste, riusciamo ad interpretare la realtà che viviamo”. Le operazioni che ci portano allo sviluppo di uno o più linguaggi sono date dalle classificazioni e memorizzazioni delle parole.
Gli eventi che portano allo sviluppo di questi linguaggi derivano dai fenomeni che, in un’analisi materiale del mondo, sono percepiti attraverso i sensi.
In un ambito sociale umano, i fenomeni e i linguaggi non sono mai neutri ma influenzati sia dalla nostra visione del mondo che dalla conformazione stessa della società. Non è, quindi, solo il discorso delle parole utilizzate da mass media, politici e/o intellettuali ma anche dalle azioni pratiche aziendali e repressive all’interno della società.
Un caso che rispecchia tutto questo è il Venezuela o República Bolivariana de Venezuela, uno Stato del Sudamerica che fonda principalmente la sua economia sul petrolio (giacimenti concentrati nella Fascia dell’Orinoco) oltre che sul gas naturale e risorse minerali.
Nell’età del petrolio (giusto per citare il titolo di un opuscolo dei Los Amigos de Ludd), un territorio del genere fa gola a multinazionali e governi, diventando un vero e proprio territorio di conquista.
Sarebbe però un’analisi incompleta e simil-vittimista questa in quanto verrebbero de-responsabilizzate le azioni della burocrazia e della borghesia locale.
Le logiche del profitto in Venezuela, negli ultimi 60 anni, hanno portato ad alleanze politiche interne come il “Pacto de Puntofijo” o “Alternaciòn Bipartidista” (1958-1999circa) e alle modifiche della Costituzione Repubblicana (1961 e 1999) per cercare di mantenere stabile il potere politico ed economico.
Un tentativo di stabilizzare politicamente ed economicamente il territorio venezuelano lo troviamo con la creazione della Petróleos de Venezuela Sociedad Anònima (PDVSA) -azienda petrolifera di Stato nata nel 1975- e il ruolo che ha all’interno dell’OPEC.
Come scritto da Rafael Uzcátegui nel libro “Venezuela: la Revolución como espectáculo. Una crítica anarquista al gobierno bolivariano”, i ruoli della PDVSA e dei governi venezuelani sono sempre stati funzionali a mantenere i buoni rapporti con le aziende petrolifere straniere (in modo da evitare eccessive intromissioni straniere nel territorio venezuelano) e a finanziare economicamente misure welfaristiche per mantenere (e rendere succube tramite queste rendite petrolifere) la popolazione.
È chiaro che in un modello socio-economico basato sullo sfruttamento, sull’alienazione e sul guadagno, misure del genere siano dei palliativi. Se a questo aggiungiamo come gli andamenti dei mercati mondiali petroliferi si basino su contrattazioni e speculazioni di ogni sorta, possiamo immaginare l’effetto sociale qualora avvenga un calo dei prezzi del suddetto materiale.
Gli eventi di protesta degli ultimi 30 anni (Caracazo o Sacudón del Febbraio 1989, i falliti colpi di Stato del 1992 e del 2002 fino ad arrivare alle proteste iniziate nel 2013 e culminate con il potere presidenziale diviso in due parti (Maduro e Guaidó)) hanno portato la burocrazia e la borghesia venezuelana ad affinare le proprie armi nel mantenere i propri privilegi e reprimere chi non si schiera su uno dei due fronti in lotta.
La retorica dell’intervento esterno è un’arma usata da ogni potere dominante indebolito da crisi sociali ed economiche. E il Partido Socialista Unido de Venezuela riesce in tutto questo, trovando alleate/i nel cosiddetto mondo occidentale.

 

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In memoria di Gianni Costanza

Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze per la scomparsa di una figura importante del movimento anarchico in Sicilia: Gianni Costanza.
Gruppo Anarchico Chimera
Ripostiamo il comunicato apparso sul sito di Umanità Nova

Martedì 30 Aprile si è spento il nostro carissimo compagno Gianni Costanza. Avrebbe compiuto 69 anni il 2 Maggio.

Già militante del gruppo “Nestor Machno” di Palermo, aderente alla Federazione Anarchica Italiana, fu tra coloro i quali si impegnarono – negli anni di Piazza Fontana e della strategia della tensione – in una capillare opera di controinformazione su quanto stava avvenendo nel paese, per demistificare le artificiose montature governative contro gli anarchici, denunciare la regia politica che stava dietro le bombe fasciste del 1969 e le manovre giuridiche e poliziesche che furono alla base delle accuse nei confronti di Valpreda e della defenestrazione di Pino Pinelli nella questura di Milano.

Nella Palermo del contrattacco collettivo alle scorribande neofasciste e delle mobilitazioni generali contro i ripetuti tentativi di colpo di stato in Italia, Gianni contrastò sempre con coraggio e determinazione lo squadrismo talvolta dilagante nelle scuole e all’università, contribuendo validamente alla difesa preventiva del movimento dagli attacchi repressivi. Sempre vigile nel neutralizzare qualsiasi tentativo di infiltrazione o di provocazione, smascherando ogni fraintendimento borghese e irrazionalistico dell’anarchismo, Gianni fece parte del Comitato Anarchico di Difesa della FAI occupandosi, fra l’altro, della solidarietà con tutti i detenuti antimilitaristi. Tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 fu attivo nella redazione e amministrazione del settimanale Umanità Nova. Nello stesso periodo fu tra i fondatori della Federazione Anarchica Palermitana.

In anni più recenti, Gianni ha partecipato attivamente – come individualità – alla vita politica e culturale del Gruppo anarchico “Alfonso Failla” e del movimento libertario cittadino.

Sino all’ultimo ha seguito con interesse il dibattito che ha preceduto il XXX Congresso della FAI, avvertendo l’urgenza di un profondo rinnovamento della federazione e di una maggiore incisività politica dell’anarchismo.

Lascia un vuoto enorme nei compagni e negli amici che lo hanno conosciuto, e fra quanti con affettuosa ostinazione continuavano a chiamarlo “Mustang”, il suo antico nome di “battaglia”.

Ciao Gianni

Gruppo Anarchico “A. Failla” – FAI Palermo
Individualità anarchiche palermitane

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1 Maggio

 

È passato un anno dal nostro post “La vostra festa del lavoro, la vostra merda nel cervello“. L’unico cambiamento avvenuto in Sicilia è solo il peggioramento nella vita dei lavoratori e delle lavoratrici e di chi cerca, disperatamente, un lavoro per poter sopravvivere.
Non servono i dati della Commissione Europea per capire che crisi sociale ed economica sta attraversando la Sicilia, così come non servono le parole e i gesti delle mani di un Musumeci che, da bravo ex fascista ed attuale presidente della Regione, si lamenti di come il 1 Maggio sia una “Festa del Lavoro” in una regione di disoccupati.
Il numero di licenziamenti e l’istituzione di nuove forme di sfruttamento (all’interno delle strutture ricettive in particolare) è aumentato in modo spropositato, senza dimenticare la gentrificazione e la guerra tra le aziende delle GDO.
La risposta per mantenere in auge tale sistema è quello di difendere i padroni e i prodotti locali!
Ecco come il 1 Maggio diventi una giornata dove si esalta l’unione tra padroni e lavoratori e lavoratrici, sminuendo qualsiasi discorso di emancipazione lavorativa e mantenendo lo sfruttamento corrente.
Questi schifosi tentativi di trasformare il 1 Maggio come Festa del Lavoro deve essere smantellato una volta per tutte.
Non ricordiamo solo la condanna di otto anarchici a Chicago nel 1886 ma, piuttosto, la lotta che essi portavano avanti: l’abolizione del lavoro salariato -attraverso il graduale abbassamento delle ore lavorative-, l’organizzazione operaia e la riappropriazione dei mezzi di produzione.

Chi difende pedissequamente il lavoro salariato e qualsiasi forma di potere, esce automaticamente dal concetto stesso di emancipazione lavorativa

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