Messina: la patria come fumo agli occhi

La “terribile” scritta e la costernazione istituzionale

Verso la fine di Febbraio, il monumento alla batteria Masotto di Messina è stato adornato con la scritta “Fanculo la patria”, suscitando un coro di indignazioni.
Claudio Dispenzieri, presidente dell’”Associazione Nazionale Mutilati e invalidi di Guerra” sezione di Messina, dichiara che “evidentemente all’autore del gesto mancano le basi che sono il principio del sacrificio degli italiani che hanno dato la vita per il bene della Patria. Lo scempio commesso lede l’onore e la dignità di chi con grande spirito di abnegazione è stato gravemente ferito e caduto in guerra senza minimamente pensare che tra di loro ci sono anche i soldati che con il loro sacrificio hanno consentito anche all’autore di questo ignobile gesto, di poter essere libero”.
Cateno De Luca, attuale sindaco di Messina, decide di usare l’arma dei social network per scatenare il tipico tastierismo degli utenti, descrivendo tale deturpamento del monumento come un’offesa alla “memoria degli eroi che hanno perso la vita per consentirvi di nascere, e bestemmiare denota che siete degli ingrati e senza un briciolo di umanità !

La storia
Il monumento alla batteria Masotto era dedicato alla memoria degli ufficiali e soldati della Batteria siciliana del capitano Umberto Masotto, caduto nella battaglia di Adua il 1 marzo 1896. La costruzione del mito eroico dei battaglioni persi durante la battaglia di Adua fu sia un tentativo (fallito) per i governi italiani di frenare eventuali insurrezioni e rivolte (come successe in Lunigiana e in Sicilia nei primi anni ’90 dell’Ottocento) che esaltazione del colonialismo italiano come portatore di civiltà e progresso.
Messina, in quel periodo storico, era una città economicamente fiorente grazie alla posizione geografica – tanto che nei giorni dopo il terremoto del 28 Dicembre 1908 le autorità italiane e straniere (inglesi e russe in particolare) si prodigarono nel ristabilire l’ordine e salvare le carte delle società finanziarie finite sotto le macerie.
Per la sottoscrizione alla costruzione del monumento, il Comune di Messina e altri notabili della città e provincia raccolsero circa 12.300 lire nei primi mesi del 1899 e il 20 Settembre di quell’anno venne inaugurato.
L’avvento del fascismo a Messina portò all’esaltazione continua il sacrificio di Masotto e del suo battaglione. E la guerra di Etiopia (1935-1936) fu il coronamento di una propaganda durata quasi un decennio. L’occupazione di Adua del 6 Ottobre 1935 da parte del generale italiano Emilio De Bono venne accolta come un boato dal giornalismo locale messinese e reggino. La Gazzetta di Messina e delle Calabrie dell’8 Ottobre 1935 riportava come “la riconquista di Adua è stata giusto motivo di grandissima, di profonda esultanza ed auspicio sicuro della vittoria finale […], per Messina non poteva non assumere un particolare significato, determinando l’esplosione di giubilo nella quale domenica sera tutta l’anima del nostro popolo ebbe a rilevare ancora una volta l’èmpito del suo entusiasmo purissimo, la riconoscenza verso quanti, or è circa quarant’anni, seppero insegnare al mondo intero come si muoia per difendere l’onore della Patria. […] Adua nel 1896 fu e rimase lungo trentanove anni, la spina più dilacerante pel cuore di Messina; il ricordo più angoscioso ed anche più luminoso della infausta seconda campagna d’Africa; l’incubo più opprimente al quale anelava sottrarsi. […] Ecco perché i messinesi, ancora dopo parecchi giorni, esultano per la riconquista di Adua e coprono di fiori il bronzo che tramanda ai posteri i nomi benedetti di quanti appartennero alla Batteria Masotto, lasciando un esempio di cui la luce ideale è inestinguibile.
Ecco perché anche l’infanzia messinese si recava l’altra mattina, marzialmente inquadrata, al Giardino a Mare portando l’omaggio floreale al Monumento che splende come un altare; ed i vecchi, tra cui parecchi superstiti della sfortunata battaglia di trentanove anni addietro, hanno pianto le lacrime stillate dalla dolcissima commozione. […]
La propaganda fascista dell’epoca spinse su questa sorta di revanscismo, criminalizzando gli arbegnuoc (la resistenza etiope) e giustificando l’utilizzo dei gas tossici e le violenze perpetrate contro la popolazione locale.

Pietismo come arma elettorale
In un contesto di crisi sociale ed economica odierna e generalizzata, vi è una precisa volontà di difendere il progresso e la civiltà italiana – compresi i suoi prodotti. Fenomeni come Salvini, Di Maio, Conte e via dicendo, non sono altro che dei goffi tentativi di salvare una borghesia impoverita e inviperita.
Il militarismo italiano come bandiera della pace e umanità è un’arma propagandistica fortissima che tiene unita una buona parte della popolazione italiana.
Nel caso messinese, assistiamo all’utilizzo di tale arma da parte di De Luca che parla di spirito umanitario e di sacrificio. Chissà dove avesse queste due cose l’attuale sindaco messinese quando la scorsa estate usava i baraccati – sì, quegli abitanti che vivono, a distanza di un secolo, nelle baracche post-terremoto 1908 – contro i/le migranti (1).
In campo politico istituzionale tutto fa brodo. Pur di nascondere il futuro fallimento del comune, utilizzare i baraccati (appena sistemati nelle case popolari) come arma elettorale, tentare di portare avanti il progetto delle Zone Economiche Speciali (ZES) ed incentivare il settore turistico, certa gente farebbe carte false!

Note
(1) Su questa vicenda, De Luca afferma di aver chiesto “lo stato di emergenza al Governo ma intanto devo trovare il posto per loro e sono pronto a requisire mezzo mondo perché io non tengo 10mila famiglie sotto l’amianto, non voglio i bambini che giocano tra la fogna e i ratti. Per me questa gente ha la priorità rispetto ai migranti. Mi accuseranno di razzismo? Allora facciamo così, tolgo queste famiglie da lì e le metto in albergo e sposto i migranti nelle baracche. Sono disponibili a trasferire i migranti nelle baracche di Messina? Gliele do tutte […] L’Italia da sola non può assumersi l’onere di questo fenomeno. Se a Messina dovessero arrivare altri migranti dirò no. Anzi, metterò a disposizione le baracche, qualcuno mi deve dire perché un italiano può starci e un migrante no”.

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