Arance siciliane

Articolo apparso su Umanità Nova, 21 Febbraio 2016

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Introduzione
Da quasi un millennio, le arance sono uno dei principali prodotti della Sicilia.
Frutto prelibato e ricercato per le sue caratteristiche organolettiche e salutari, l’arancia viene introdotta in Sicilia durante la dominazione araba. A partire dalla seconda metà del 1800 le coltivazioni agrumicole in Sicilia aumentarono nelle vaste aree pianeggianti (Piana di Catania e Conca d’Oro) in concomitanza con i nuovi sviluppi economici (la trasformazione della Sicilia come terra agricola da parte dei governi unitari).
Ma se la Conca d’Oro palermitana andò via via a diradare i suoi agrumeti, nella Piana di Catania vennero fatti gli investimenti maggiori, portando a produrre le arance a polpa rossa o pigmentata e le arance bionde.
Questa è, in estrema sintesi, la storia delle arance in Sicilia.
Oggi giorno le arance sono uno dei prodotti italiani che valgono meno della carta straccia.
A cosa è dovuto questo?
-ai prezzi di acquisto imposti dalle aziende di import-export ai produttori agrumicoli,
-alla concorrenza con altre aziende europee e non-europee,
-alla mancanza degli aiuti di Stato che negli anni della Prima Repubblica concedeva un’utile ai produttori stessi,
-all’abbassamento del prezzo del lavoro.
Attraverso queste quattro problematiche, affronteremo la tematica socio-economica di questo prodotto agricolo che per quasi un secolo ha mantenuto economicamente tre province della Sicilia Orientale (Enna, Catania e Siracusa).

Aiuti di Stato/Europei e Aziende agrumicole.
Un’azienda autonoma, secondo l’attuale legislazione italiana, non viene gestita dagli apparati amministrativi tradizionali dei Ministeri, possiede una propria organizzazione amministrativa e un bilancio distinto ma allegato a quello statale.
La funzione dell’azienda autonoma consiste nella gestione di attività e nella produzione di beni e/o servizi aventi carattere di pubblico servizio.
Nel caso che presentiamo, andiamo a parlare dell’ex Azienda per gli interventi sul mercato agricolo (AIMA).
L’AIMA venne istituita con la legge n. 303 del 13 maggio 1966 come “un’ente decentrato” dell’allora Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste (dove lo stesso ministro era presidente e i funzionari del ministero facevano parte del Consiglio d’Amministrazione (il sottosegretario e i sei direttori generali)). Il compito di quest’azienda era sovrintendere l’attività di intervento nel mercato, in quanto le operazioni d’acquisto, conservazione e vendita dei prodotti agricoli erano affidate a soggetti terzi detti assuntori che dovevano essere iscritti ad appositi albi.
Il problema principale fu che l’unico assuntore presente nel mercato agro-alimentare era la Federconsorzi, la quale si accaparrava di tutti i fondi statali erogati dall’AIMA, monopolizzando il mercato agro-alimentare.
Questa situazione andò avanti grazie ai vari governi democristiani dell’epoca.
La crisi economica di fine anni ’70, rese necessario un riordinamento delle varie aziende di Stato. La Legge del 14 agosto 1982, n. 610 decretava un riordinamento dell’AIMA: essa diventava un’azienda autonoma senza personalità giuridica, ma con ordinamento e bilancio autonomi. A seguito dei vari ricambi politici della prima metà degli anni ’90 (tangentopoli e fine della prima repubblica) e i governi di Prodi-D’Alema della seconda metà degli anni ’90, molte aziende autonome vennero soppresse e sostituite da Agenzie. L’AIMA venne soppressa e sostituita dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) il 16 Ottobre del 2000 tramite i decreti legislativi del “27 maggio 1999, n. 165” e del “15 Giugno 2000, n. 88.”
A differenza dell’azienda autonoma, l’agenzia ha una struttura amministrativa dotata di personalità giuridica e di un suo statuto; svolge autonomamente sia le attività prevalentemente tecniche, soddisfacendo gli interessi pubblici, che le attività di organizzazione, della contabilità e della spesa. I rapporti tra agenzia e Stato sono disciplinati mediante una convenzione con il Ministro vigilante, che fissa gli obbiettivi da conseguire ed i corrispondenti mezzi finanziari e materiali, e un controllo di gestione da parte della Corte dei Conti.
L’AGEA svolge delle funzioni di Organismo di Coordinamento, strutturato nella direzione generale, controllo di gestione, aiuti nazionali e ufficio legale da cui dipendono l’area amministrativa (divisa in affari generali e personale) e l’area coordinamento (divisa in procedure e Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN) e rapporti finanziari, e di Organismo pagatore che ha competenza per l’erogazione di aiuti, contributi, premi ed interventi comunitari previsti dalla normativa dell’Unione europea, non attribuita ad altri organismi pagatori.
Questo Organismo Pagatore autorizza i pagamenti, determinandone la misura conformemente alla normativa comunitaria vigente; esegue i pagamenti; contabilizza i pagamenti. nell’ambito dell’erogazione dei fondi dell’Unione europea ai produttori agricoli.
Il passaggio dall’AIMA all’AGEA, i ricambi politici istituzionali (dal Pentapartito all’attuale situazione parlamentare) e la fortissima concorrenza spagnola e marocchina, hanno impoverito i produttori agricoli, rendendoli ancora più subdoli sui/sulle lavora-tori/trici del settore agrumicolo.

Contratti, impoverimento e razzismo/sessismo.
Il “Contratto Provinciale del Lavoro (CPL) per gli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Catania,” stipulato il 23 Aprile del 2012 tra la Confagricoltura Catania, la Federazione Provinciale Coltivatori Diretti, la Confederazione Italiana Agricoltura e la FLAI/CGIL, la FAI/CISL e la UILA/UIL, regola i rapporti di lavoro fra le imprese che svolgono attività agricole e gli operai agricoli da esse dipendenti.
Delle 42 pagine del documento, prendiamo in esame la classificazione del personale, l’orario di lavoro, il lavoro straordinario e la paga giornaliera, tutto sotto un punto di vista di “contratto a tempo determinato.”
I/le lavoratori/lavoratrici assunti/e per la raccolta di agrumi, ricadono o nell’Area 2 (lavori generici e semplici) livello C oppure nell’Area 3 Livello E (mansioni generiche nelle aziende agricole ed agrituristiche).
L’orario di lavoro è stabilito in 39 (trentanove) ore settimanali pari a 6,30 giornaliere.
Il lavoro extra viene ripartito in lavoro straordinario festivo e/o notturno e lavoro festivo notturno; in nessun modo dovrà superare:
le 2 ore giornaliere, le 12 ore settimanali e le 250 ore annuali.
Le percentuali di maggiorazione per il lavoro extra applicate sul salario saranno:
– lavoro straordinario 30%
– lavoro festivo 35%
– lavoro notturno 40%
– lavoro straordinario festivo 45%
– lavoro festivo notturno 50%
Rispettando le 39 ore settimanali, la paga giornaliera dell’Area 2-Livello C è di 67,27 euro giornalieri (mensilmente sono 1340,78 euro), mentre per l’Area 3-Livello E è di 58,06 euro giornalieri (mensilmente sono 1157,27 euro)
Tutto questo rispetta il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro sul lavoro Agricolo.
Se per certi politicanti questo contratto viene visto come “una conquista importante,” nella pratica assistiamo a tutt’altro.
Per contenere i costi, spesso i produttori assumono a tempo determinato i/le lavoratori/lavoratrici con il livello più basso (secondo la CPL del 2012-2015) e pagandoli/e, in nero, a meno di 50-60 euro per 10 ore al giorno circa.
L’assunzione comporta una facciata legale del lavoro svolto e anche l’accesso, per costoro, alla disoccupazione agricola.
Come riportato dall’INPS, per accedere a questo “sussidio,” si devono rispettare un numero di giornate pari a quelle lavorate entro il limite massimo di 365/366 giornate annue (in cui sono incluse le giornate di lavoro dipendente agricolo e non agricolo, le giornate di lavoro in proprio, le giornate indennizzate e quelle non indennizzabili) e il versamento del 40% della retribuzione di riferimento (da cui viene detratto il 9% per ogni giornata di indennità di disoccupazione erogata a titolo di contributo di solidarietà per un numero massimo di 150 giorni)
Nella stragrande maggioranza dei casi, i/le lavoratori/lavoratrici acconsentono a tutto questo -comprese le donazioni di vestiario e cibarie varie fatte da Caritas e comuni in cui sono residenti-, per poter mantenere le famiglie.
Oltre a questo contenimento dei costi, abbiamo fenomeni quali razzismo e sessismo -portati avanti dai gruppi politici razzisti (neofascisti, forconi e indipendentisti) e, velatamente, dai produttori agricoli.
I gruppi politici razzisti accusano i/le migranti di rubare il lavoro agli/alle italiani/e (abbassando il prezzo del lavoro), coprendo i produttori agricoli che, per contenere i costi, assumono in nero i/le migranti pagandoli/e meno di 30-40 euro giornalieri per più di 10 ore al giorno. Questa paga giornaliera causa malumori -e violenze- contro i/le migranti. A peggiorare questa situazione, vi è il fenomeno del caporalato, figlio del contenimento dei costi dei produttori agricoli e dell’efficienza del lavoro da portare avanti a qualsiasi costo (tramite stupri, percosse verso chi protesta e/o chi è lento, etc)

Marchi di Origine e Propaganda Sovranista.
Quando parliamo di Marchi di Origine, parliamo di promozione e tutela di prodotti agro-alimentari attraverso il Regolamento CEE n. 510/06. I marchi che troviamo sono tre: DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) e STG (Specialità Tradizionale Garantita).
La DOP è la denominazione di un prodotto la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avviene in un’area geografica determinata; l’IGP è la denominazione di un prodotto di cui almeno uno degli stadi della produzione, trasformazione o elaborazione avviene in un’area geografica determinata.
Escludendo la STG -che valorizza un metodo di produzione tradizionale ma non fa riferimento ad un’origine del o dei prodotto/i usato/i-, la DOP e l’IGP devono rispettare la Disciplinare di Produzione. Questa Disciplinare definisce, a norma di legge, i requisiti produttivi e commerciali di un prodotto a marchio DOP e IGP e viene tutelata viene tutelata dai consorzi che lavorano i prodotti specifici. Chi viola questa Disciplinare, incorre a sanzioni pecuniarie o penali.
Queste sono, a grandi linee, i marchi di origine.
Come detto all’inizio, nella Piana di Catania, abbiamo due tipi di arance: quelle a polpa rossa o pigmentate e quelle bionde. Le aziende agricole che producono arance a polpa rossa o pigmentate, sono in numerosi paesi delle province di Catania, Enna, Ragusa e Siracusa. Nel 1994 costituirono il Consorzio per la Tutela dell’Arancia Rossa nel 1994 e riuscirono, due anni dopo, ad ottenere il riconoscimento da parte dell’Unione Europea dell’IGP (Reg. 1107 – 12 giugno 1996).
Le altre aziende agricole che producono arance bionde non sono mai riuscite a creare dei consorzi di tutela a causa dell’invidia e gelosia dei magri guadagni ottenuti.
Tale situazione ha scatenato numerose e reiterate proteste, sfociate in richieste di tutele statali e tentativi di boicottaggi di agrumi non siciliani.
Questo modo di fare dei produttori agricoli trascina, in parte, i/le lavoratori/lavoratrici in modo da ricattarli economicamente e mantenere inalterato l’attuale sistema economico.

Considerazioni finali.
Quel che abbiamo scritto è solo una sintesi della realtà di questa parte della Sicilia.
Per debellare ed eradicare una situazione del genere (dalla mentalità ostica dei/delle lavoratori/lavoratrici alla propaganda dei movimenti e gruppi politici, dalla repressione poliziesca a quella mafiosa) è necessario stare a tu per tu con chi viene sfruttato/a, usato/a e avvilito/a da questi signori produttori e tutto il loro codazzo politico-securitario legale o mafioso, mettendo la parola fine al loro potere di controllo economico e sociale.
Solo così potremo incamminarci verso la solidarietà lavoratrice e la distruzione di un modello produttivo che rende gli individui degli automi di carne.

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