Catania e Sicilia: tra capitalismo e cultura autoritaria dominante (Seconda Parte)

Prima Parte

 

Repressione poliziesca
A Catania, la Regione Sicilia ha stanziato 40 milioni di euro per la costruzione della Cittadella Giudiziaria. Questi soldi sono ripartiti in tale modo: 1,2 milioni per il 2018, 2 milioni per il 2019, 4 milioni per il 2020, 25 milioni per il 2021 e 7,8 milioni per il 2022.
Tale investimento è necessario, rivela la Regione Sicilia, per potenziare e snellire la macchina giudiziaria catanese e di buona parte della Sicilia Orientale nelle procedure processuali che riguardano i/le migranti e i sempre più crescenti reati contro la proprietà e di spaccio di sostanze stupefacenti.

Le nomine di Alberto Francini a questore e di Roberto Saieva come procuratore della Corte d’Appello non sono casuali: in un territorio fortemente impoverito e divenuto terreno fertile per nuovi clan “criminali”, le forze dell’ordine e la magistratura devono agire in maniera tempestiva e veloce.
A conferma di questo, vi è la relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (Gennaio-Giugno 2017) dove, nelle pagine 90-96 e 285-302, vengono descritte minuziosamente le operazioni e come si muovono i clan criminali presenti sul territorio catanese.

Chiaramente la relazione semestrale non è una novità, in quanto i clan mafiosi di questo territorio affondano le loro radici fin dai primi del Novecento, potenziandosi successivamente con il fenomeno del settore dei servizi dalla fine degli anni ‘60. Di questo, basti vedere i lavori redatti dai compagni e dalle compagne anarchici/anarchiche locali di quel periodo.
L’aumento del controllo poliziesco porta i clan mafiosi a ritornare, secondo una certa narrazione storiografica, “alle origini,” ovvero nelle campagne e nei piccoli paesi dove le forze dell’ordine sono “disponibili” a scendere a compromessi.
Un esempio è l’operazione “Adranos,” dove sono stati arrestati membri del clan Santangelo (legato alla famiglia catanese dei Santapaola-Ercolano) e del clan Scalisi (legato alla famiglia catanese dei Laudani) tra Adrano e Biancavilla, paesi sul versante occidentale etneo.
I due clan, in nome degli affari, si erano spartiti il racket delle carni e del mercato ortofrutticolo, con la collaborazione di un poliziotto del commissariato di Polizia di Adrano.

Il sistema repressivo in città si muove su due piani: pratico e culturale.
Sul piano pratico si muove contro gli occupanti abusivi degli alloggi popolari e contro gli spacciatori; sul piano culturale si muove all’interno delle istituzioni (in particolare con la dirigenza dell’Università di Catania).

Parlando del piano pratico vediamo come per gli alloggi popolari, il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci, insieme all’assessore alle infrastrutture Marco Falcone e al dirigente dell’Istituto Autonomo Case Popolari (Iacp) Fulvio Bellomo, abbia annunciato di voler chiudere l’ente e trasferire la competenza alle province.
Questi enti locali, oltre ad amministrare le case popolari, dovranno razionalizzare la gestione del patrimonio abitativo e provvedere al controllo degli immobili occupati, oltre che a sopperire alla mancanza di circa 40mila alloggi.

Il 9 Febbraio si è tenuta presso il municipio di Catania una riunione sull’emergenza abitativa, sui numerosi alloggi sfitti e sui buoni casa. La successiva riunione si terrà in Prefettura dove si affronterà l’argomento degli alloggi popolari occupati. Questo significa che la Prefettura, in combutta con la Questura e il Comune, butterà fuori le famiglie che occupano gli alloggi popolari, confermando le parole di due occupanti del Duomo in merito al fatto che i proprietari di casa non sono disposti ad accettare le famiglie sfrattate.

Nel caso degli spacciatori, invece, vediamo come il questore e i suoi uomini ne abbiano arrestati numerosi nel primo mese di insediamento del solerte funzionario di polizia.
Arrestare gli spacciatori non risolve il problema perché in questo territorio il lavoro cosiddetto legale viene pagato poco e nulla.
Il mercato delle sostanze stupefacenti è, quindi, in continua crescita grazie al suo essere estremamente versatile, alla sua capacità di adattarsi alle esigenze dei clienti e al riorganizzarsi rapidamente dopo una azione repressiva.

Sul piano culturale, all’interno dell’Università di Catania si sono tenuti tre convegni che, a nostro avviso, sono un indice di come nel territorio si voglia porre attenzione alla questione securitaria.
Nel convegno “Crimine organizzato e criminalità economica: stato dell’arte e prospettive future dopo l’introduzione del P.M. europeo” del 12 e 13 Gennaio, i magistrati presenti avevano avallato l’ipotesi di inasprire le pene contenute negli articoli contro i gruppi mafiosi.

Nel convegno “L’intelligence incontra l’Università” del 24 Gennaio, i docenti universitari e gli uomini legati ai servizi analizzavano i flussi migratori, la crisi migratoria, la cybersecurity e il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.

Per alcuni docenti universitari, la cyber security è un sinonimo di sicurezza e libertà, i progetti Permafab e Sicilia Integra hanno, invece, come obiettivo la creazione di personale qualificato nel campo agricolo e nel campo dell’accoglienza.

Per il resto dei relatori, viene evidenziato come la crisi migratoria sia un campanello d’allarme per la giurisprudenza dell’Unione Europea e la sicurezza dei paesi che ospitano masse di migranti.
Ed è da questo che Paolo Scotto Di Castelbianco, direttore della Scuola di formazione, Campus dell’Intelligence nazionale, e Alessandro Pansa, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), sottolineino come l’addetto alla sicurezza nazionale debba essere non solo attaccato ad un fortissimo senso di democrazia e alle istituzioni, ma anche capace di collaborare attivamente “alle eccellenze nazionali accademiche” per il “bene” del paese.

Pansa afferma che “l’alleanza strategica tra Accademia, mondo della ricerca e intelligence è un elemento indispensabile e fondamentale nell’esperienza fino a oggi fatta e il risultato è particolarmente positivo.
“La sicurezza nazionale,” dice Pansa, “è fondamentale per la tutela delle istituzioni, delle funzioni fondamentali e dell’insieme dei diritti fondamentali del cittadino. Le sfide che affrontiamo,per la sicurezza nazionale oggi richiedono delle competenze di gran lunga più ampie, di gran lunga più complete e soprattutto aggiornate costantemente rispetto a quelle del passato.”
Sfide che per i membri del DIS sono sempre più complesse in una zona del mondo (il Mediterraneo) che, a livello geopolitico, è in continua evoluzione. In quanto informatori ed analizzatori interdisciplinari, il DIS fornisce “al governo una visione non di ciò che sta accadendo, ma di ciò che accadrà, di quali sono le dinamiche delle singole iniziative che vengono prese all’interno di questo bacino, di questo contesto allargato,” cercando di “individuare i segnali dei fenomeni, di capire i fenomeni come si evolvono e di rappresentare al governo gli scenari, e per fare questo ci vogliono competenze.”

Sull’argomento dei migranti, Pansa smonta la narrazione dei terroristi che arrivano sui barconi, sottolineando che per “il fenomeno migratorio dobbiamo guardare lo sviluppo economico, lo sviluppo demografico, lo sviluppo energetico la capacità di inserirsi nei circuiti internazionali e gli equilibri politici paesi, tra gruppi etnici, all’interno delle dinamiche che si realizzano nella religione islamica o in altri settori per coprire le turbolenze che possono innescare fenomeni migratori nel futuro.”

A coronamento di tutto questo, il DIS e l’ateneo siciliano firmano un accordo di cooperazione e di collaborazione al fine di potenziare la macchina securitaria e trovare nuove reclute.
Un accordo che permette anche collaborazioni con aziende legate al gruppo Leonardo-Finmeccanica e aziende private di sicurezza.

Nel convegno “L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – Le funzioni di regolazione e vigilanza di fronte ai cambiamenti della comunicazione” del 12 Febbraio presso la facoltà di Scienze Politiche, i commissari dell’Agcom hanno ribadito, in nome della difesa della democrazia, la necessità del controllo sui mezzi di comunicazione tramite il monitoraggio delle cosiddette “fake news”.

Internet, nonostante i tentativi dei servizi segreti e dell’Agcom, dimostra il suo essere fluido ed avulso dalle misure normative e repressive.
Si evidenzia come il controllo sulle notizie e sui mezzi di comunicazione sia uno dei punti fissi della cultura dominante e degli apparati repressivi.

Al di là del discorso sul controllo delle informazioni che circolano in rete, il controllo sugli individui diventa sempre più pressante in questa parte della Sicilia.
Oltre al caso degli spacciatori e degli alloggi popolari occupati, l’Università di Catania lancia il progetto “Health&Security Smart Gate.”
Presentato nel 2017 sul bando del PO FESR 2014/2020-Azione 1.1.5., questo progetto contribuisce ad identificare “eventuali malattie” del/della migrante appena arrivato/a nel porto di Catania.

Inutile dire che questo progetto serve esclusivamente ad identificare il/la migrante, accelerando le pratiche per un’eventuale espulsione.

Il controllo degli individui o dei corpi non è appannaggio delle forze repressive e della cultura dominante odierna: è presente anche in una forma culturale chiamata “sicilianismo.”

 

Sicilianismo, clericalismo e sessismo
Quando parliamo di “cultura,” intendiamo una creazione o costruzione umana basata su saperi, credenze, costumi e comportamenti di un determinato gruppo sociale.
Tale costruzione porta ad un sistema culturale dove la società è in grado di rispondere ai bisogni e desideri dei propri membri.
Se teoricamente questo discorso appare condivisibile per la sua apertura, in una realtà come quella che viviamo tutti i giorni, il soddisfacimento delle esigenze e desideri vale solo per una parte dei membri della società

In un contesto del genere si viene a creare il “sicilianismo,” ovvero la credenza di un identità nazionale e culturale siciliana.
Utilizzato dalle classi dominanti locali per sottolineare le tradizioni locali, l’esaltazione delle morali cristiane e l’esistenza di una rigida gerarchia, il “sicilianismo” venne rivisitato negli anni ‘60 e ‘70 del Novecento da alcuni compagni anarchici (come Franco Leggio).
Unendo le teorie anarchice e le lotte di liberazione nazionali di quel periodo (Africa o paesi baschi), l’obiettivo di questi compagni era quello di emancipare la popolazione locale dallo sfruttamento capitalistico, statale e militarista attraverso le lotte presenti in Sicilia, la storia delle rivolte siciliane e la solidarietà insita nella popolazione locale.

Nonostante questo tentativo genuino e sincero di vedere il “sicilianismo” come una lotta popolare, vediamo che esso, oggi giorno, sia l’espressione del pensiero dominante locale: la narrazione capitalistica dei prodotti e paesaggi locali, l’esaltazione pietistica della chiesa cattolica, la visione della donna come oggetto di carne, il disprezzo e l’ostracizzazione verso omosessuali, lesbiche, persone intersex e persone transgender.

Alle violenze quotidiane che accadono a Catania ai danni delle sex workers e delle persone transgender, si somma la narrazione tossica del mainstream locale, portando chi legge a sentirsi tranquillo/a con la propria morale autoritaria (appresa in famiglia e a scuola) nonostante esprima apparentemente un mix di emozioni. (odio o pietà in questo caso).

Chi avvantaggia questa morale è anche il clero locale. Riportiamo uno stralcio dell’omelia dell’arcivescovo Gristina per la festa di Sant’Agata: “Tutti siamo a servizio della vita per contrastare i segni di una cultura chiusa” ma al tempo stesso aggiunge di voler “chiedere alla Santa Patrona Agata di farci diventare buoni come Lei per essere capaci di chinarci sulla storia umana, ferita, scoraggiata e di impegnarci a trasformare la realtà e guarire dal dramma dell’aborto e dell’eutanasia.”

In un territorio come quello catanese dove solo quattro ginecologi su sessantacinque non sono obiettori e l’educazione sessuale è un vero e proprio tabù, le parole di Gristina e il linguaggio del mainstream locale sui casi di violenza, sono la conferma di come questo territorio sia profondamente reazionario e conservatore.

Come Gruppo Anarchico teniamo a considerare non solo i discorsi sulla liberazione dei corpi ma anche il discorso “anazionalista,” ovvero la negazione che la nazione (piccola o grande) sia il motore principale dell’organizzazione sociale, culturale ed economica di un dato territorio.

Per questi motivi sosteniamo una cultura dinamica e fluida, consentendo di essere coerenti sia nei mezzi e fini anarchici che nell’analisi della realtà quotidiana che viviamo.

 

Fascismo
Catania, insieme a Palermo e Messina, è sempre stata una dei centri economici nevralgici per la Sicilia, grazie ad una borghesia aggressiva e priva di scrupoli.
Non è un caso che Catania, fin dagli inizi del suo sviluppo industriale, sia stata uno dei principali centri di lotta per il proletariato locale e regionale.
All’inizio la borghesia e le istituzioni locali si servirono della mafia e delle forze dell’ordine per perseguitare i vari leader o figure carismatiche delle lotte operaie. Ma le cose cambiarono con la fine della prima guerra mondiale.
I lavoratori e le lavoratrici italiani/e, complice una pesante crisi economica e le notizie che arrivavano sulla resistenza dei rivoluzionari russi contro le forze internazionali controrivoluzionarie, cominciarono a scioperare e a resistere contro le violenze delle forze dell’ordine.
Borghesia e parte della classe politica liberale locale, vedendo la debolezza del sistema statale, cominciarono a finanziare economicamente il Partito Nazionale Fascista e le sue squadracce per arginare gli scioperi e le proteste dei lavoratori.
Solo con l’avvento del regime fascista si riuscì a silenziare completamente qualsiasi protesta.
Con la fine della seconda guerra mondiale e il ripristino della democrazia, Catania divenne un vero e proprio feudo politico della Democrazia Cristiana e dei clan mafiosi presenti.
Gli ex-fascisti, invece, confluirono o nel Movimento Sociale Italiano o in altri gruppi, instaurando solide collaborazioni con il partito dominante (DC), con i clan mafiosi e con gli americani -i quali rifornivano i neofascisti di materiale esplodente e finanziamenti vari.
La fine della Prima Repubblica e la svolta di Fiuggi porta buona parte della dirigenza missina locale a confluire in Alleanza Nazionale, mentre una minoranza decide di creare nuovi gruppi e partiti, portando avanti, per circa una decina di anni, le violenze e gli agguati contro i/le compagni/e.

Oggigiorno a Catania vi sono partiti e gruppi come Forza Nuova, Spazio Libero Cervantes e CasaPound Italia.

Forza Nuova Catania, salita alle cronache nazionali la scorsa estate per le colonie ai bambini, è presente a Catania da quasi un ventennio.
La città è considerata una roccaforte forzanovista, oltre che un punto di riferimento per le lotte prolife e antiabortiste locali. Il coordinatore locale di FN è Giuseppe Bonanno Conti, noto per essere un picchiatore fascista e per aver tentato di aggredire, insieme ai suoi camerati e con la complicità della polizia, i/le manifestanti del Pride 2006.
Altro personaggio noto per essere stato un picchiatore forzanovista è Alan Distefano, passato al sostenere apertamente lo Spazio Libero Cervantes e CasaPound Italia.

Spazio Libero Cervantes nasce nel 2004 con l’occupazione di Villa Fazio a Librino. Inizialmente questa occupazione si chiamava “Spazio Libero di Promozione Sociale Cervantes” ed era una risposta contro Forza Nuova Catania e gli ex camerati confluiti in Alleanza Nazionale. Lo sgombero avviene dopo qualche settimana.
Nel periodo che va dallo sgombero fino al 2009, questo gruppetto di neofascisti crea l’Associazione Culturale Durden, un luogo di ritrovo per gruppi pro-life e gruppi rossobruni.
Nel 2009, con la complicità diretta della giunta comunale Stancanelli, occupano l’ex-Circolo didattico XX Settembre, chiamandosi “Spazio Libero Cervantes.”
Da questa occupazione, il Cervantes riesce a dominare la scena neofascista in città, mettendo in minoranza Forza Nuova, creandosi una facciata legale, cittadinista e “pacifica” attraverso gruppi come Assalto Studentesco, Catania è Patria e Comitato Terra Nostra.
A differenza di Forza Nuova, il Cervantes collabora attivamente con gruppi neofascisti presenti in Sicilia e in altre regioni italiane come Tana delle tigri di Vittoria (Rg), Oltre la linea-Messina, La Barricata di Acireale (Ct), Azione Talos di Palermo, NFP di Reggio Calabria, Identità Tradizionale e AlPoCat di Catanzaro, Foro Sette Cinque Tre di Roma etc.
L’evento “Magmatica” è un punto di incontro tra questi gruppi e varie personalità politiche note come Toto Cuffaro, Marcello De Angelis, Angelo Attaguile etc. Da qualche anno si svolge a Sant’Alessio Siculo (Me) e l’obiettivo di questi incontri è saldare sempre più le collaborazioni ed eventuali accordi economici tra i vari gruppi.
Oltre al “Magmatica,” il Cervantes riesce a collaborare ed entrare in eventi ludici attraverso la Scirocco Mediterranean Creative Lab -azienda gestita da Gaetano Fatuzzo, leader del gruppo neofascista-, come la “BeerCatania-Festival delle birre artigianali” o la “Catania Tattoo Convention.”

CasaPound Italia, a differenza di Forza Nuova e del Cervantes, apre la propria sede ai primi di Febbraio 2018, nonostante la manifestazione del Dicembre 2017 contro l’apertura dello spazio.
Quello che si nota è l’aggressività politica di CPI a Catania che, oltre a volantinare nei vari mercati cittadini e creare eventi simili ai propri avversari, riunisce sia diversi delusi dei partiti di destra che personaggi legati a professioni securitarie o culturali.
Tra i nominativi più illustri troviamo:
-Massimo Adonia, ex esponente storico della destra ed ex consigliere comunale di Giardini Naxos;
-Giuseppe Spadafora, ex carabiniere addestrato da enti istituzionali americani e imprenditore di un’azienda di sicurezza informatica e di vigilanza;
-Turi Privitera, dipendente e portavoce dei lavoratori della Catania Multiservizi spa;
-Ettore Ursino, giornalista per alcune testate online come Citypress, Blogsicilia, Sudpress e Tribupress.

Grazie alla presenza di personaggi legati ad attività lavorative, ludiche, culturali e securitarie e alle collaborazioni strette con personalità politiche di rilievo, i gruppi fascisti cercano di mantenere una facciata legale e “pacifica.”
Al tempo stesso cominciano ad espandersi in un contesto dove i gruppi di sinistra litigano per la leadership di un movimento esistente sulla carta, le violenze contro le donne, le persone intersex e le persone transgender sono sempre più crescenti e la narrazione giornalistica getta benzina sul fuoco contro i/le migranti.

 

Conclusioni
In una città ferma ancora agli anni ‘90, dove vi è la presenza della stessa classe politica e gli stessi attori economici del tempo, assistiamo ad un rafforzamento di costoro grazie al fenomeno turistico, al controllo repressivo e alla presenza dei/delle migranti, rinchiusi all’interno di veri e propri ghetti.

A Catania esiste un blocco unico compatto di interessi economici-politici, dove non esistono gruppi concorrenti.

In tutto questo, l’ulteriore mazziere che è l’organizzazione mafiosa sembra che si sia autorelegata allo svolgere un ruolo marginale rispetto agli anni precedenti.
Probabilmente questo è dovuto al fatto che ha spostato i principali interessi sia in ambito finanziario che nella gestione agricola.
Lo sviluppo del turismo e delle infrastrutture adibite per il trasporto evidenziano un ampliamento degli interessi del blocco economico-politico, sfruttando tutti i finanziamenti possibili sia a livello governativo che europeo, senza nessuna reale programmazione territoriale ma basandosi solo sull’arraffamento delle risorse.

Da un punto di vista politico, la città è perennemente combattuta tra la mitizzazione della “Milano del Sud” e la realtà di una città divisa in substrati economici atavici.
Per cui, chi detiene determinate ricchezze economiche vive di rendita e fa il bello e il cattivo tempo in città.
Tale sfasamento si vede nella politica locale dove i vari gruppi si muovono sul territorio e cercano di imitare modalità e iniziative presenti a livello nazionale senza ottenere risultati concreti.

Come già indicato nel nostro Manifesto, “crediamo nell’auto-organizzazione tra sfruttat* e non in avanguardie sterili, arroganti, presuntuose e senza senso.
Credendo in ciò, vogliamo costruire, attraverso il mutuo appoggio, la solidarietà e l’azione diretta, dei percorsi di autogestione come la creazione di strutture di autoreddito, la possibilità di abitare liber* da palazzinari, da banche e da strutture burocratiche e di mangiare tutti i giorni e il più possibile fuori dai meccanismi neoliberisti.

Questa voce è stata pubblicata in General e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.