Articolo comparso su Umanità Nova, 10 Novembre 2019. Firmato Loretta Giannoni.
Una Premessa
Pochi giorni fa, il 18 ottobre 2019, è scoppiata la rivolta sociale più grande ed unitaria che il Cile abbia mai visto. Qualche giorno prima, il movimento studentesco aveva invitato a non pagare il servizio di trasporto pubblico, come forma di protesta per un nuovo aumento del biglietto (il più caro in America Latina) nella capitale Santiago. Il governo del neoliberista Sebastian Piñera ha reagito subito con la forza, dichiarando lo Stato di Emergenza, limitando le libertà individuali e di movimento (coprifuoco), sguinzagliando le forze militari contro un popolo che si era unito finalmente per dire basta a 30 anni di schiavitù economica.
Per capire cosa ha portato la maggioranza del paese ad unirsi alle proteste contro il carovita bisogna tornare all’origine del modello socio-economico che esiste oggi in Cile.
Nel 1970 viene eletto presidente Salvador Allende con il supporto di diversi partiti e movimenti di sinistra, tra cui il Partito Comunista, quello socialista, la sinistra cattolica e la CUT (Central Unica de Trabajadores), riuniti nell’Unidad Popular. Ovviamente, in piena Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti non è rimasto a guardare e Nixon ordinò il blocco economico verso il Cile, generando caos e mancanza di prodotti di prima necessita; nel mentre, la CIA organizzò insieme all’esercito cileno il colpo di stato.
L’11 settembre del 1973 il paese e il mondo intero guardano con orrore i caccia dell’esercito comandato dal Generale Augusto Pinochet bombardare La Moneda, il sogno dell’Unidad Popular era finito e l’incubo iniziava…
Durante la dittatura di Pinochet, sotto la regia di Milton Friedman – professore dell’Università di Chicago e padre della “dottrina dello shock economico”– si iniziò a preparare il paese a quello che sarebbe stato il più brutale degli esperimenti del capitalismo.
Per prima cosa bisognava mantenere il popolo nella paura. Pinochet sostiene che “il Paese è in guerra contro il marxismo, che sta portando il Paese nel caos”: la caccia alle streghe non si ferma e continuano le detenzioni, le torture, le morti e le sparizioni in pieno giorno. I militari hanno il controllo assoluto delle strade, c’è il coprifuoco in tutto il paese e viene fatto rispettare a colpi di fucile. Non esistono più la libertà di espressione, di movimento e di pensiero. Il Paese non solo è sommerso dal caos, ma vive nel terrore. Il Cile è così pronto per ricevere la terapia dello shock: chiunque osi ribellarsi contro la politica del libero mercato, rischia la vita.
Un gruppo di giovani economisti cileni viene spedito all’Università di Chicago per preparare insieme a Friedman la strategia economica, basata su una totale privatizzazione. Vengono anche eliminati il controllo sui prezzi e le barriere all’importazione e tagliata la spesa pubblica.
In questo contesto vengono create nel 1982 le AFP (Administradoras de Fondos de Pensiones), il sistema di pensioni private che si regge esclusivamente sulle leggi del libero mercato, la cui abolizione è oggi una delle principali richieste che fa il popolo.
Come ci si può immaginare, la politica economica cilena in questi 30 anni di democrazia non è cambiata più di tanto, diventando ogni volta più feroce ed aumentando il divario economico tra ricchi e poveri. Sebbene il Cile sia considerato a livello mondiale l’economia più solida del Sudamerica e la povertà estrema sia minima, la classe media cilena diventa ogni giorno più estesa e più povera – ma anche più arrabbiata.
Il risveglio del Cile
Venerdì 18 ottobre dopo qualche giorno di protesta da parte degli studenti nella Metro di Santiago, il Governo chiama le forze speciali dei Carabineros per fermare a qualunque costo gli evasori. Gli studenti non si fermano ed i Carabineros decidono quindi di chiudere completamente la metropolitana, lasciando milioni di persone senza un mezzo per tornare a casa. La gente si ritrova in strada e in tanti iniziano a protestare sommandosi agli studenti, i vicini si uniscono dalle proprie case sbattendo cucchiai contro le pentole nell’ormai popolare “cacerolazo” (cacerola = casseruola).
Non erano più i 30 pesos dell’aumento del biglietto: c’era un Paese intero che chiedeva una vita più degna. La violenza da parte dei Carabineros non ha fatto altro che creare più tensione tra la gente che manifestava e sono arrivati barricate e saccheggi. Il Presidente, non sapendo come affrontare la situazione, dichiara lo Stato di Emergenza, lasciando così all’esercito il controllo delle strade, proibendo ogni tipo di riunione e decretando il coprifuoco dalle ore 20 alle 6. Domenica mattina Sebastian Piñera ha pronunciato la frase “Siamo in guerra e il nostro è un nemico potente”.
Il Paese sembrava essere immerso nel caos, c’erano saccheggi ovunque in pieno giorno indisturbati dai militari; intanto qualunque manifestazione pacifica, raduno e soprattutto qualunque persona osasse non rispettare il coprifuoco, veniva subito fermata a forza di lacrimogeni, idranti e colpi d’arma da fuoco non sempre sparati in aria. La maggioranza dei mezzi di comunicazione trasmetteva solo caos e disordine, aiutando così a creare ancora più panico nella popolazione.
L’intenzione del governo di Piñera era chiara: voleva replicare la storia, silenziare il popolo con la stessa violenza della dittatura di Pinochet. Terrorizzandolo tramite le notizie, chiamando alla guerra, permettendo i saccheggi ma reprimendo violentemente la libertà delle persone. Solo che questa volta non ha funzionato perché al popolo cileno è stato rubato tutto, anche la paura: non si fermeranno finché non avranno risposte certe.
Un Cile più giusto
La grandissima classe media cilena è fortemente stratificata. I più benestanti si sono potuti permettere cose come l’accesso ad una buona sanità ed all’educazione privata, non fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e vanno in vacanza ogni anno, gli altri invece no. Questi due estremi della classe media però vivono e lavorano a diretto contatto tra loro. Oggi li vediamo insieme nelle manifestazioni: si sono uniti per far si che i privilegi di pochi possano diventare i diritti di tutti. Studenti, artisti, operai, medici, impiegati, giornalisti, calciatori, pensionati, disabili, piccoli imprenditori, infermieri, lavoratori indipendenti, avvocati, animalisti, ecologisti, femministe, comunità indigene e famiglie intere, riuniti non da un’ideologia ma dalla convinzione che questa ormai sia l’unica arma per lottare per una società più giusta per tutti. È il momento d’affrontare insieme argomenti che coinvolgono tutto il Paese come il sistema pensionistico, la corruzione, il TPP11 e la protezione delle risorse naturali del Cile. Chiedono un’Assemblea Costituente dove venga scritta insieme una nuova Costituzione in sostituzione dell’attuale, emanata nel 1980 durante la dittatura.
Le richieste della gente sono molteplici ma tutte fanno riferimento al benessere ed alla dignità delle persone, seppur nella loro diversità di esigenze. Tra le più frequenti: aumentare lo stipendio minimo da €380 a €620 e diminuire le ore lavorative da 45 a 40; educazione gratuita; migliorare il sistema sanitario (in Cile tante persone muoiono ogni anno in attesa di ricevere attenzione e cure mediche, a volte anche basiche); la nazionalizzazione dell’acqua e delle risorse naturali, incluso il rame, una della principali fonte di ricchezza del Paese, in mano alle grosse multinazionali.
No+AFP e No TPP11
Un altro punto importante è cambiare il sistema pensionistico, oggi in mano agli enti privati delle AFP. Quotate in borsa, gli investimenti di queste aziende vanno alla grande ma le pensioni percepite dai cileni sono misere. Nel caso degli uomini può arrivare al 38% dello stipendio medio, per le donne non supera il 28%, con pensioni che arrivano appena a 100€.
L’attuale sistema prevede che sia lo stesso dipendente a finanziare direttamente la sua pensione, senza l’intervento del datore di lavoro e/o lo Stato. Le AFP sono aziende che funzionano come banche e sono solo sei. Appartengono agli uomini più potenti del Cile – Luksic, Solari, Angelini e Paulmann – e sono diventati un vero oligopolio, fissando i prezzi per cancellare qualunque concorrenza, utilizzando i fondi delle pensioni per espandere la loro ricchezza.
Da più di qualche anno diversi settori sociali e politici si sono uniti per chiedere un sistema di pensioni più eque e con la partecipazione attiva dello Stato, ponendo fine a un sistema privato basato sul lucro. Il movimento No+AFP, nato più di dieci anni fa, oggi è uno dei principali protagonisti nelle piazze cilene.
Si lotta anche contro il TPP11 (Accordo di associazione transpacifico), un patto economico tra undici paesi dell’Oceano Pacifico: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Singapore, Perù e Vietnam. Il principale scopo dell’accordo è di ridurre il raggio d’azione dello Stato nell’economia di ogni paese, con un protezionismo corporativo e restringendo il più possibile le attività delle aziende pubbliche.
L’accordo, in attesa del via libera dal Senato, non solo comprende materie economiche ma tocca anche i diritti sociali, privatizzando ancora ulteriormente educazione, salute e cultura nei paesi che vi aderiscono. Riguardo pesca e agricoltura, impone un sistema produttivo industriale che non rispetta l’ambiente, lasciando il controllo dei semi ad aziende come la Bayer-Monsanto. Il trattato rappresenta un pericolo anche per le comunità indigene, che fino a oggi sono state vittime di genocidio e persecuzione da parte di più di un governo nei 200 anni di storia del Cile.
In Cile si protesta da giorni, radunando più di un milione di persone a Santiago, riempiendo ogni giorno le strade in tutto il paese. Alla data di oggi (2 novembre) le cifre ufficiali parlano di almeno una ventina di civili morti, qualcuno assassinato a colpi di pistola dai militari oppure in “circostanze poco chiare” quando le vittime erano sotto loro custodia. Sono oltre quindici le denunce per molestie sessuali e più di cento per torture, ormai sono in migliaia i feriti e detenuti. Il Governo continua a non ascoltare le domande dei manifestanti, ha cambiato qualche Ministro ma non ha ancora dato una risposta ai cileni.
Nonostante Piñera abbia dichiarato la fine dello Stato di Emergenza, la repressione violenta dei militari continua nelle strade del Cile, ma questo non fa altro che unire ancora di più il popolo contro i suoi oppressori.