tratto da “L’Agitazione del Sud”, Palermo, Nuova Serie anno XII, n.11-12, Novembre-Dicembre 1968. Articolo firmato da Antonio Cardella.
Campagna di Avola – Sembra un quadro risorgimentale. Nella squallida immobilità di un campo di battaglia ripulito dai resti dei soldati uccisi si aggira un gruppetto di uomini che fruga tacitamente fra pietre ed erbacce come a voler scoprire le cause del dramma cruento. Ma le cause, come sempre, non sono sul posto: l’origine della folgore è sempre molto più in alto della vittima su cui si abbatte. La democrazia parlamentare è disseminata di errori, di discriminazioni, di atti di violenza che scaturiscono dalle stesse strutture su cui mal si regge: essendo popolare per determinazione, borghese per costituzione, capitalista per destinazione.
Qualche settimana è ormai passata dai tragici fatti di Avola e, se dovessimo tener d’occhio l’esigenza dell’attualità, dovremmo discutere d’altro. Ma discutere d’altro con due morti non ancora dimenticati (potenza della memoria!) è francamente difficile.
La penosa storia delle istituzioni delle comunicazioni ufficiali emesse e smentite, il pietismo ipocrita degli ambienti politici ufficiali sono la tragica, ricorrente cornice di eventi come questo frequenti, direi, dalle nostre parti, anche se spesso non è il poliziotto in divisa, legale omicida, a spegnere vite umane, ma la lupara mafiosa, sempre più asservita a torbidi interessi di potere e di sottogoverno.
Si è gridato e si continua a gridare di disarmare la polizia, quasi che in ciò soltanto consistesse il nocciolo della questione. Certo, evitare che uomini armati si trovino ad affrontare operai, contadini e studenti che si battono per condizioni più umane di lavoro e di studio potrebbe essere indicativo di una pressione popolare più forte delle naturali resistenze del potere costituito: ma, appunto, si tratterebbe di una battaglia il cui esito positivo sarebbe certamente utile ma non determinante nella guerra che il proletariato ha ingaggiato con lo Stato e le sue istituzioni.
Altro il discorso se si trattasse di perseguire l’abolizione tout-court della polizia, nella presunzione che il mondo del lavoro è sufficientemente evoluto per amministrare il frutto della propria fatica con criteri di vera equità e di responsabilità, togliendosi finalmente di dosso il peso imponente dei padroni di ogni genere e, quindi, anche delle forze di repressione, che di tali padroni sono di volta in volta i difensori ed i sicari. Occorre, quindi, tornare con i piedi sulla terra e abbandonare i falsi scopi (quale quello del disarmo della polizia), utili al sistema borghese, ma che non risolvono nessuno dei veri problemi sul tappeto. E ancora una volta si tratta di chiarezza di obiettivi. Secondo il nostro modo di vedere, se effettivamente esiste, come esiste, una profonda frattura tra la base e i vertici dell’organizzazione sociale italiana (e non soltanto italiana), è necessario che tale frattura sia evidenziata ad opera di quanti sono alla base della piramide e risultano i naturali destinatari di ogni sopruso.
Ma come fare? I sistemi di lotta del proletariato sono ormai decrepiti, con la aggravante che vengono sistematicamente strumentalizzati dai sindacati al fine non di sovvertire uno stato di fatto dannoso per chi lavora, bensì per sostituire alla oligarchia esistente la propria oligarchia.
Questa verità così lampante per chi riesce a cacciar fuori la testa dai propri piccoli e incomprensibili egoismi, non ha ancora motivato una sola azione degna di un qualche rilievo e abbiamo visto spesso, in questi ultimi tempi, operai e contadini picchiare studenti che pur confusamente, si battevano anche per loro. Del resto, ancora lancinante è il ricordo dell’occasione mancata del movimento operaio francese, a rimorchio di un partito comunista obiettivamente controrivoluzionario e il cui moderatismo ha sortito la conferma del gaullismo e la farsa di aumenti salariali vanificati dall’immediato decollo del costo della vita.
In Sicilia, come dovunque, nulla può cambiare se almeno non si inizia un discorso franco e disincantato tra le varie forze del lavoro, un discorso diretto, non mediato da rappresentanti che sempre meno rappresentano. E le assemblee aziendali così come quelle studentesche, potrebbero essere, appunto, un inizio di discorso nuovo, badando, però, di lottare perchè esse abbiano potere deliberante e non si riducano a semplici riunioni dopolavoristiche, senza alcuna capacità di determinare effettivamente la conduzione produttiva e la ripartizione equa del profitto. A parer mio, poi, la creazione di un organismo orizzontale idoneo a garantire una effettiva partecipazione di tutti gli operai o di tutti i contadini alla vita delle rispettive aziende, servirebbe anche da verifica per riconoscere senza possibilità di dubbio i compagni di lotta da coloro che si spacciano per tali. Dubito, infatti, che i fautori del “partito guida” e del “sindacato onnipotente” aderirebbero ad una iniziativa che, di fatto, svuoterebbe le loro organizzazioni da ogni significato. Naturalmente questa ipotesi di lotta non potrebbe che essere il primo passo soltanto verso la completa autogestione di tutte le attività produttive. Un passo assai significativo, però, perchè servirebbe alla maturazione di esperienze nuove elaborare da tutti, a vantaggio di tutti.