Venezuela: opportunisti e imbecilli al lavoro

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Introduzione

“Mai la merce sfamerà l’uomo” (cit. Amadeo Bordiga)

Nell’Introduzione dell’opuscolo “La campagna elettorale permanente” veniva scritto come “le parole sono uno dei mezzi con cui avviene la nostra comunicazione […] attraverso l’importanza e la significanza che diamo a queste, riusciamo ad interpretare la realtà che viviamo”. Le operazioni che ci portano allo sviluppo di uno o più linguaggi sono date dalle classificazioni e memorizzazioni delle parole.
Gli eventi che portano allo sviluppo di questi linguaggi derivano dai fenomeni che, in un’analisi materiale del mondo, sono percepiti attraverso i sensi.
In un ambito sociale umano, i fenomeni e i linguaggi non sono mai neutri ma influenzati sia dalla nostra visione del mondo che dalla conformazione stessa della società. Non è, quindi, solo il discorso delle parole utilizzate da mass media, politici e/o intellettuali ma anche dalle azioni pratiche aziendali e repressive all’interno della società.
Un caso che rispecchia tutto questo è il Venezuela o República Bolivariana de Venezuela, uno Stato del Sudamerica che fonda principalmente la sua economia sul petrolio (giacimenti concentrati nella Fascia dell’Orinoco) oltre che sul gas naturale e risorse minerali.
Nell’età del petrolio (giusto per citare il titolo di un opuscolo dei Los Amigos de Ludd), un territorio del genere fa gola a multinazionali e governi, diventando un vero e proprio territorio di conquista.
Sarebbe però un’analisi incompleta e simil-vittimista questa in quanto verrebbero de-responsabilizzate le azioni della burocrazia e della borghesia locale.
Le logiche del profitto in Venezuela, negli ultimi 60 anni, hanno portato ad alleanze politiche interne come il “Pacto de Puntofijo” o “Alternaciòn Bipartidista” (1958-1999circa) e alle modifiche della Costituzione Repubblicana (1961 e 1999) per cercare di mantenere stabile il potere politico ed economico.
Un tentativo di stabilizzare politicamente ed economicamente il territorio venezuelano lo troviamo con la creazione della Petróleos de Venezuela Sociedad Anònima (PDVSA) -azienda petrolifera di Stato nata nel 1975- e il ruolo che ha all’interno dell’OPEC.
Come scritto da Rafael Uzcátegui nel libro “Venezuela: la Revolución como espectáculo. Una crítica anarquista al gobierno bolivariano”, i ruoli della PDVSA e dei governi venezuelani sono sempre stati funzionali a mantenere i buoni rapporti con le aziende petrolifere straniere (in modo da evitare eccessive intromissioni straniere nel territorio venezuelano) e a finanziare economicamente misure welfaristiche per mantenere (e rendere succube tramite queste rendite petrolifere) la popolazione.
È chiaro che in un modello socio-economico basato sullo sfruttamento, sull’alienazione e sul guadagno, misure del genere siano dei palliativi. Se a questo aggiungiamo come gli andamenti dei mercati mondiali petroliferi si basino su contrattazioni e speculazioni di ogni sorta, possiamo immaginare l’effetto sociale qualora avvenga un calo dei prezzi del suddetto materiale.
Gli eventi di protesta degli ultimi 30 anni (Caracazo o Sacudón del Febbraio 1989, i falliti colpi di Stato del 1992 e del 2002 fino ad arrivare alle proteste iniziate nel 2013 e culminate con il potere presidenziale diviso in due parti (Maduro e Guaidó)) hanno portato la burocrazia e la borghesia venezuelana ad affinare le proprie armi nel mantenere i propri privilegi e reprimere chi non si schiera su uno dei due fronti in lotta.
La retorica dell’intervento esterno è un’arma usata da ogni potere dominante indebolito da crisi sociali ed economiche. E il Partido Socialista Unido de Venezuela riesce in tutto questo, trovando alleate/i nel cosiddetto mondo occidentale.

 

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