Le Belle e San Berillo

Si sapeva da tempo che la questione San Berillo sarebbe andata così anche se speravamo che fosse una nostra supposizione errata.

Purtroppo non è stato così.

 

Nei giorni scorsi le Fdo, forti del potere indiscriminato dato dalla normativa di urgenza, hanno pestato una trans nel quartiere San Berillo a Catania, quartiere abitato da sex workers e migranti oggetto da tempo a forti processi speculativi, gestiti principalmente da Unicredit, miranti a trasformare il vecchio quartiere popolare, smembrato negli anni ’50, in una zona ad alta attività turistica.
Ma per procedere a tale scopo l’unico problema sono le sex workers che, in certi casi, sono proprietarie degli immobili in cui esercitano.

In una città in cui le Forze del Disordine oramai esercitano poteri discrezionali al di fuori di ogni logica, fedeli servi del potere finanziario ed immobiliarista, hanno attuato le loro tipiche modalità di gestione del territorio, picchiando, sequestrando telefonini e portando testimoni in questura.  Questa è la logica sicuritaria voluta in questo paese,che, anche seguito delle norme fasciste volute per la gestione della pandemia, hanno garantito loro impunità. Le istituzioni pubbliche e le FdO continueranno a sostenere il sacco edilizio in questa città, con la scusa di renderla appetibile al turismo di massa, come i progetti su San Berillo, quello dell’ex presidio ospedaliero Vittorio Emanuele, degli Ospedali Riuniti, di via Vittorio Veneto, di via del Rotolo.

Una città senza piazze, con infrastrutture scolastiche letteralmente bombardate, con le periferie svuotate da ogni luogo aggregativo e volutamente lasciate in mano alle organizzazioni criminali, oramai uniche realtà che garantiscono una attività lavorativa.

Nel frattempo trans, migranti ed abitanti di San Berillo vivono una aggressione continua da parte delle FdO e si sta a guardare “tanto sono froci, puttane e pusher negri”, fino a quando?

Portiamo la nostra totale solidarietà alle individualità, sex workers, migranti e persone che hanno subito e subiscono quotidianamente i soprusi delle FdO.

 

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la pubblicità ci caca in testa

Dobbiamo essere sinceri a volte, raramente, la pubblicità aiuta a trasmettere dei messaggi. Senza dimenticare che comunque la pubblicità ci caca in testa.

Abbiamo deciso di giocare di nuovo con un noto marchio di pasta che promuove della salsa di pomodoro.
Salsa prodotta dalla raccolta disumana pratica nei campi di pomodori.

Raccolta basata sullo sfruttamento e sullo schiavismo dei migranti che trasforma il rosso del pomodoro nel rosso del sangue degli schiavi sfruttati in una terra abitata da sfruttati, in una perenne rincorsa a schiacciare il più debole

Un grosso grazie va alla crew e a The Urban Arancino per la condivisione del tempo, dei rischi e del divertirsi insieme nel giocare con il subvertising senza dimenticare che la pubblicità ti caca in testa.

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BEVI COCA COLA, MUORI per COCA COLA

#Mai più come prima

La nuova campagna Coca Cola dal titolo “ Ci saremo come mai prima “ nasce a seguito della vita post- lockdown.
Il brand cerca di “innovarsi “ trovando un modo più friendly per lanciare I propri messaggi . A seguito delle proteste BLM il capitalismo insegna come le varie lotte vengano assorbite per diventare prodotti “vicini alle persone e alle loro esigenze “ come dimostra l’utilizzo della compagnia dell’artista afroamericano George the Poet.

 

Oltre a un richiamo ad un lavorismo rivoltante (“ Non dirò mai più che il mio lavoro non è importante “, recita uno dei manifesti ) essi richiamano una vicinanza, benevola, amichevole, che pensa agli individui e non ai profitti.

Come nel 1990 con l’uccisione dei sindacalisti scomodi da parte degli squadroni della morte in Colombia, finanziati da Coca Cola.

La stessa azienda che pensa sia meglio mandare sul lastrico 151 lavoratori dello
Stabilimento Sibeg a Catania, trasferendosi a Tirana per eludere i costi di produzione.

La stessa azienda che nelle vostre tavole porta lo sfruttamento avanzato delle terre dell’America Latina.

Ecco perché abbiamo deciso di portare avanti la campagna #maipiùcomeprima, promuovendo un’azione di Subvertising in giro per la città , rivendicando non solo l’utilizzo dello spazio pubblicitario a scopo pubblico , ma anche accusando e schernendo i giochi di potere continui perpetrati da colossi a discapito dei senza voce.

Bevi Coca cola
MUORI PER COCA COLA

ps: vista la visita di questi giorni a Catania del capitone di Milano abbiamo deciso di omaggiarlo con un artwork di quel genio di Ceffon

 

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L’ultimo respiro

 Terminata la fase emergenziale della pandemia da Covid-19, nella quale buona parte delle forze dei compagni sono state impiegate nel distribuire beni di prima necessità, a sostegno di chi vive nei quartieri popolari, il gruppo anarchico Chimera riprende le proprie attività pubbliche con azioni di volantinaggio e subvertising, grazie ai bei progetti di Hogre, Illustre Feccia, Ceffon e Doublewhy, in tutti gli ospedali, nelle piazze e nei luoghi di ritrovo più frequentati di Catania.

artwork by DoubleWhy, IllustreFeccia, Hogre

Riprendersi gli spazi pubblici, senza cadere in facilonerie e complottismi, è indispensabile per riaprire nuovi fronti di lotta e smontare la narrazione del potere dominante, paternalista per occasione e repressivo per Costituzione.

artwork by Hogre e DoubleWhy


La retorica della guerra contro il virus utile a coprire il totale disinteresse verso la salute pubblica, dimostrata con la spudorata aziendalizzazione dei servizi sanitari e il loro progressivo smantellamento sui territorio, e il totale asservimento nello sfruttamento dell’ecosistema alle logiche del profitto del libero mercato non ci ingannano.

artwork By hogre, DoubleWhy, Ceffon, IllustreFeccia

Men che meno presteremo il fianco agli inviti alla delazione e al controllo reciproco, rendendoci sbirri di chi ci sta accanto, il gioco della servitù volontaria lo conosciamo bene.

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#iononriparto

Condividiamo la campagna #iononriparto promossa dal Ponte della Ghisolfa in quanto è vero che si riapre il 4 Maggio ma è vero che non siamo tutti sulla stessa barca.
Si deve aprire,invece, una nuova stagione di lotte.

Don’t hate the virus, become the virus!

 

 

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La servitù volontaria

“In verità la plebe,… è per natura sospettosa nei riguardi di chi l’ama e ingenua verso chi la inganna.
…Non è mai capitato che i tiranni, in nome della loro sicurezza, non si siano sforzati di abituare il popolo non soltanto all’obbedienza e alla servitù nei loro riguardi, ma ancor di più alla loro devozione” Etienne De La Boétie Discorso della servitù volontaria, (Edizioni Feltrinelli,2014)

#restiamoacasa #andràtuttobene sono gli slogan sotto forma di ashtag creati dal governo per diffondere l’obbedienza incondizionata ad accettare la detenzione “volontaria” in cui 60 milioni di persone sono state costrette.
Detenzione in nome di una guerra contro il nemico invisibile che ha vigliaccamente colpito il belpaese, riducendolo in un campo di morti.
Se non volete morire, se non volete vedere i vostri cari morire dovete restare a casa.

Siamo in guerra.

artwork di Hogre

Una campagna mediatica violenta senza limiti, ha spinto ad accettare questo “buon ritiro”. Una campagna mediatica stile chiamata alle armi.

Come spiega, infatti, Giancarlo Sturioni, nel suo articolo Il linguaggio militare della pandemia, “L’epidemia di COVID-19, con il suo carico di minacce e incertezze, non sfugge a tutto questo e il linguaggio scelto per raccontarla ha un ruolo cruciale nell’orientare il nostro modo di pensare e agire nell’emergenza. Quel che valeva fino a ieri, in tempo di pace, oggi può essere sacrificato. Ciò che prima era inconcepibile, oggi può apparire persino inevitabile: passare a un’economia di guerra, imporre restrizioni delle libertà personali, militarizzare il territorio e, in definitiva, rinunciare in modo consensuale ai diritti e alle garanzie di una democrazia liberale, senza discussione pubblica, né assicurazioni che, al termine dell’emergenza, tutto torni come prima.

Passare ad una economia di guerra, imporre restrizioni delle libertà, militarizzare il territorio, rinunciare in modo consensuale ai propri diritti. Insomma come affermava più di cinquecento anni fa il buon Etienne non solo soggiogare alle catene, bensì accettarle, giustificarle, affermare che senza di esse è impossibile vivere.

Ma siamo veramente in guerra.
No. Nessuna guerra. Ma, come sta emergendo in questi giorni, una sconcertante catena di scelte organizzative, politiche, gestionali avvenute principalmente in Lombardia che hanno spinto un avventuriero a prendere delle decisioni draconiane, solo per fermare o meglio stoppare una massa di governatori e sindaci che in preda al panico, stavano creando le basi per ulteriori disastri.
Per carità, non si stanno sminuendo gli effetti sul corpo umano, di questa malattia e della pandemia in generale. Si sta affermando che quanto è stato fatto finora è servito a stoppare i disastri, le scelte errate di determinati personaggi, in primis Fontana e Gallera in Lombardia, che hanno spinto a scelte devastanti. Scelte che possono comportare un prezzo molto più costoso di quello di vite umane.

La perdita di diritti, conquistati tramite lunghe lotte contro il tiranno. Diritti politici, diritti fondamentali e diritti sociali. La scelta, infatti, di tutelare la sanità pubblica può comportare forti limitazioni alle libertà e non è scontato che possano ritornare tranquillamente. In fisica viene definito isteresi cioè la forma di un corpo, sottoposto a una determinata pressione, rimane deformata anche successivamente al termine della pressione. Come afferma Off topic nel suo bel articolo.

vignetta discriminatoria su Mary Mallon

Le proposte relative al controllo della diffusione del Covid hanno come fine di verificare gli spostamenti ed i contatti delle persone tramite il proprio smartphone.
Questa precisa logica di trattamento dei dati per ricostruire i movimenti e sopratutto i contatti nasce dal fine, corretto di permettere agli esperti sanitari di “mettere” in quarantena i soggetti contagiati e portatori asintomatici del virus. Questa prassi sino a poco tempo fa era demandata esclusivamente ad esperti del settore, che avevano il compito di ricercare il “paziente zero” e di ricostruire i suoi movimenti e contatti. Storicamente questa pratica nasce dalle vicende di “Mary Tifoide” ovvero Mary Mallon, cuoca di origine irlandese, portatrice sana di tifo che contagiò diverse persone, appartenti alla ricca borghesia newyorkese. Questa triste vicenda si concluse con la detenzione della donna, che morì, per via di un ictus, convinta, giustamente della propria innocenza, vittima di un sistema che la discriminava essendo una povera donna irlandese.

Già nella triste storia di Mary Mallon, si riscontrano tutti gli elementi di discussione della questione politica attuale.
La salute pubblica è preminente sulle libertà fondamentali, come la libertà e la tutela della privacy?

La pandemia da Covid-19 è la prima pandemia, contemporanea, in cui tale principio risulta essere predominante, rispetto alle libertà fondamentali.
Durante il ventesimo secolo ci sono state 4 pandemie e tre forti epidemie. La prima quella del 1918 è stata denominata la spagnola ed è stata la più violenta, con un tasso di mortalità del 2,5% si pensa abbia ucciso oltre 50 milioni di persone e si diffuse su tre ondate, primavera del 1918, autunno ed inverno del 1918 e che abbia circolato fino agli anni’50. Le successiva pandemia avvenne nel 1957/1958 con circa 1,1 milioni di morti e fu denominata l’asiatica. L’altra pandemia fu quella del 1968 che causò la morte tra l’intera popolazione mondiale di circa un milione di persone. Ci furono altri eventi quasi pandemici nel 1947 e nel 1977. L’ultima pandemia quella relativa all’HIV è ancora in corso dalla metà degli anni’80.

Nelle fasi acute di queste pandemie, nessun governo pensò di ridurre o modificare i diritti fondamentali dei propri cittadini, di limitare il movimento o di bloccare l’intera attività produttiva di un paese.

La caratteristica principale della pandemia generata dal SARS-Cov-2 è che è la prima nell’era digitale e della totale informazione. Viviamo un momento storico in cui tutti possono informarsi, possono comunicare e possono contattare esperti del settore.

Eppure qualcosa non torna.

Per la prima volta in Italia, senza essere in uno stato d’emergenza come in guerra, l’accesso alle informazioni è assolutamente limitato in base al decreto legge n.18 del 17 marzo 2020, art. 67 comma 3,https://gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/17/20G00034/sg sono sospese le risposte “non aventi carattere di indifferibilità ed urgenza” alle istanze formulate ai sensi della l 241/1990 e del d.lgs 33/2013 (accesso doc, civico e FOIA). Vengono applicate deroghe, importantissime alle libertà fondamentali, civili e politiche, e persino il normale accesso alle informazioni, regolamentate anche da accordi internazionali è sospeso, fino al 31 maggio 2020.

Il diritto di accesso e trasparenza, indica il livello di relazione tra governante e governato.
Non è un caso che proprio in queste giorni il Governo richiede tramite un bando, urgentissimo, denominato “fastcall”(quanto piacciono queste definizioni anglosassoni) per la ricerca di nuove soluzioni per il monitoraggio e per la telemedicina.

Su indicazione della Commissione Europea i termini per effettuare tale scelta scadono otto giorni esatti dalla data di pubblicazione di tale bando. Infatti, come afferma Wired il 16 aprile il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri ha disposto la stipula del contratto che darà ufficialmente il via al processo di messa in funzione dell’app per la raccolta di informazioni utili al tracciamento dei contagi da coronavirus.

Incaricata del progetto, come raccontato da Wired, è l’azienda italiana Bending Spoons,

specializzata nello sviluppo di app ludiche e tra le più importanti al mondo, offrirà il suo servizio per “spirito di solidarietà” e dunque “al solo scopo di fornire un proprio contributo volontario e personale, utile a fronteggiare l’emergenza da Covid-19“, si legge nelle considerazioni allegate al documento. Per spirito di solidarietà, visto che è ancora concesso, vediamo cosa è la Bending Spoons e chi sono i proprietari.

Società fondata da quattro ragazzi italiani nel 2013, a Copenaghen, Francesco Patarnello (presidente), Luca Ferrari (consigliere delegato), Matteo Danieli e Luca Querella, Bending Spoons è il principale sviluppatore di app per iOS in Europa e tra le prime venti aziende al mondo per download di app.
L’azienda ha chiuso il 2018 con ricavi per 35,1 milioni di euro (8.26 milioni nel 2017.) L’utile operativo si è attestato a 3,097 milioni (1,557 nel 2017).
Bending Spoons ha finanziamenti con le maggiori banche come Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi Banca, Banco Bpm, Bper, Banca Sella e Credito Valtellinese, emerge dal consuntivo 2018.
A luglio 2019 nell’azienda sono entrati con il 5,7% tre società: H14 (Family Office italiano, il business dei tre figli di secondo letto di Silvio Berlusconi, Barbara, Eleonora, Luigi che detiene il 21,4% di Fininvest), Nuo Capital (holding di investimenti dalla famiglia Pao Cheng di Hong Kong) e StarTip (veicolo di Tamburi Investments Partners spa, la holding di investimento guidata da Gianni Tamburi).

L’80% del capitale resta in mano ai quattro fondatori: Luca Ferrari, Francesco Patarnello, Matteo Danieli e Luca Querella mentre un 10-12% fa capo ai collaboratori.

I fondatori non hanno voluto specificare se l’ingresso dei tre investitori sia avvenuto tramite un aumento di capitale o se la quota del 5,7% sia stata ceduta da loro. (fonte:https://www.startmag.it/innovazione/bending-spoons-tutti-i-segreti-della-societa-dellapp-anti-covid-19/😉

Società che, in base all’articolo pubblicato da Wired, dovrà gestire tramite bluethooth la raccolta di dati”sufficientemente” anonimi e l’individuazione dei contatti.

In base alle poche informazioni recuperate il sistema dovrebbe permettere a un dispositivo, tramite bluethooth di conoscere quelli vicini con cui è entrato in contatto all’interno del suo campo d’azione e di tenerne traccia in una lista che rimane salvata sul medesimo. Solo nel caso in cui un cittadino dovesse risultare positivo ai test, le informazioni raccolte dall’app verranno condivise con il personale sanitario in modo da diramare una comunicazione a chi è stato esposto al contagio. A quanto si apprende, l’app non dovrebbe integrare alcun meccanismo di tracciamento della posizione (tecnologia gps), così come indicato dal Garante europeo per la privacy e dal Consiglio che riunisce i garanti dei Paesi membri (Edpb). Questa applicazione, verrà testata in tempi velocissimi presso la sede della Ferrari a Maranello, in virtù della consulenza esterna ricevuta direttamente da Elkann.

Ricapitolando abbiamo, quindi, nel board di questa società i figli di Berlusconi ed Elkann (FCA) nel ruolo di consulente.

Il ministro Pisano ha ricordato che l’uso della app sarà volontario ma per permettere un corretto funzionamento occorre che sia scaricato dal 60% della popolazione.

A breve avremo un nuovo ashtag stile #scaricatel’app con tanto di canti dal balcone e delatori pronti a denunciarvi alle fdo se non è stata prontamente scaricata.

E’ il piano perfetto, utilizzando l’isteria di massa mediata con la comunicazione da guerra, i dati anonimi diventano accessibili a strutture private.

Come affermano i compagni di Ippolita nell’articolo sul Manifesto pubblicato il 16/04/2020 “Veniamo dunque alla tecnologia digitale e diciamolo subito: non esistono tecnologie di controllo che siano anche «etiche». L’etica si sviluppa nella relazione e si radica nell’esperienza, non è qualcosa che si può embeddare nel codice (no, il free software non garantisce la neutralità della tecnica). Il controllo invasivo non è mai etico. E se è su base volontaria chiamatela servitù volontaria, non approccio etico. I dati di cui sembriamo avere disperatamente bisogno per sconfiggere il virus esistono già. Sono di proprietà delle piattaforme che ci forniscono tutti i servizi gratuiti di cui non possiamo più fare a meno.

Da tempo infatti, violando ogni norma politica e senza restituire nulla della ricchezza accumulata, le big tech sono nella posizione privilegiata per incrociare dati biometrici, sociali e geografici. Sarebbe davvero semplice per la potenza di calcolo di cui dispongono de-anonimizzare la rete di contatti di ogni singolo cittadino trovato sospetto di Covid. Questi dati non diventeranno mai un bene pubblico. Il futuro – perlomeno da questa parte del pianeta – prevede una liberalizzazione, non certo una statalizzazione. Da anni e in molti stanno lavorando sulla portabilità dei dati. L’escamotage è quello della restituzione della proprietà privata dei dati.

La data portability così pensata atomizzerà ogni singolo utente privandolo di rapporti di forza, lasciandolo in balia del mercato. Ogni utente sarà quindi «libero» di vendere i propri dati senza alcuna capacità critica né cultura informatica.

L’emergenza rileva quello che è già chiaro da anni: le multinazionali dell’IT si occupano della governance dei cittadini, non di comunicazione. Quindi, o lo Stato sceglie di caratterizzare il proprio agire in modo radicalmente diverso – rendendo questa diversità un valore politico da contrapporre al totalitarismo tecnologico – oppure è destinato a farsi soppiantare da Google e simili, cosa che, se guardiamo alla scuola pubblica, e ai software usati per le call e lo smartworking sembra già a uno stadio avanzato.

Lungi da far aderire la sovranità tecnologica ad un’architettura digitale di Stato (altra deriva totalitaria), la mancanza di lungimiranza ha permesso l’ennesima infiltrazione dell’IT nel nostro quotidiano. Il privato che si divora il comune, mentre sulla cittadinanza si riversa la retorica del «presidiare la legalità» e con il consenso degli esperti/tecnici si applicano misure autoritarie.”

A riprova che il Gruppo Ippolita ha correttamente individuato il punto nodale è la interessante intervista, pubblicata sulla rivista online IconDesign, a Giorgia Lupi che si occupa proprio di Design delle informazioni “…ogni giorno lavoro con i dati – qualitativi e quantitativi, grandi e piccoli, dati che le organizzazioni hanno già.” E continua “Se ci pensate – e se vedete i dati nel modo in cui io li vedo, possono essere una lente, un filtro per analizzare le storie di un marchio, di un’istituzione, di una comunità di persone e quindi diventare materiale per progetti di design della comunicazione.” La stessa Lupi, quindi illustra le finalità del Designer di informazioni, in modo chiaro. “Ci stiamo avvicinando con passi da gigante al momento in cui le relazioni marchio-cliente dovranno necessariamente passare da una conversazione a senso unico a una conversazione a due vie: dai marchi ai clienti, raccogliendo e utilizzando i dati che forniamo loro, dai clienti ai marchi che dovranno creare nuove relazioni con noi attraverso questi dati, restituendoci un valore “misurabile” affinché la relazione sia sana e vantaggiosa per entrambi. Questo già accade in parte: ma le persone non sono solo statistiche o data scientist, e i dati grezzi e non elaborati sono illeggibili e inutili. Vedo un’incredibile opportunità nel lavorare con i marchi per progettare le esperienze che restituiranno i dati ai loro creatori, a noi clienti. Interazioni in cui il valore aggiunto per i clienti non sarà solo nei servizi forniti in cambio dei dati che forniamo loro, ma anche in ciò che le aziende hanno e che possono dirci su di noi, condividendo le conoscenze che traggono da quelle informazioni, a beneficio di entrambe le parti.”

Si sta per fare lo passaggio fatto con la moda negli anno’80, trasformarla in un prodotto per gruppi, comunità, singoli, stavolta però non si parla di abiti bensì di dati personali. Saranno lavorabili in modo tale da costruire prodotti in base ai costumi, usi, comportamenti, riservati esclusivamente ad ogni singolo cliente.

Qualche bel spensierato ovviamente penserà che il diritto alla Privacy andrà a tutelare questo eccesso invasivodi una proprio diritto fondamentale.
Diritto alla Privacy che non ha per nulla ostacolato Facebook a raccogliere dati personali e condividerli con società esterne, come lo scandalo “Cambridge Analytica” ci ricorda bene. Il diritto alla Privacy non protegge la libertà. Ma promuove esclusivamente, il passaggio dalla privatizzazione dei dati alla loro nazionalizzazione, a quello che il Gruppo Ippolita definisce la sovranità digitale. In parole povere il ritorno, come è evidente in Cina, del totalitario controllo da parte dello Stato sugli individui. Che se non rispettano le norme, di buon comportamento e di legge, rischiano sanzioni sociali espresse sul proprio profilo individuale, con blocchi alla mobilità.
Esiste una leggenda metropolitana in merito ai probabili effetti dell’epidemia a Wuhan da Covid-19. In particolare il mistero della scomparsa di un altissimo numero di utenti telefonici.

Non si sa se questi dati sono veritieri e quindi dovuti alla morte da Covid oppure di cittadini che hanno scelto di scomparire dalle grigie maglie di controllo da parte del potere statale cinese.

In questo bel discorso su diritti e libertà occorre ricordare che una parte numerosa della popolazione, costretta alla “dorata prigionia” ha finito ogni forma di sostentamento. I danni psicologici derivanti da questa lunga prigionia. Occorre ricordare le persone che subiscono violenze fisiche e psicologiche, costrette ad una obbligata convivenza con i propri carnefici. I figli imprigionati senza poter svolgere quello che il loro benessere primario, scoprire il mondo giocando in compagnia. I migranti reclusi nei vari CPT, di cui si richiede il rilascio per poterli sfruttare tranquillamente nei campi ricchi di verdura e frutta non raccolta.
I prigioneri, ovvero gli incarcerati in quell’inferno che il sistema penale italiano che, lottando per la propria vita, ben 14 di loro l’hanno persa, hanno dimostrato di essere gli unici ad avere ancora una dignità sapendo benissimo cosa vuol dire perdere la propria libertà.
Occorre,infine, ricordare la violenza del mandiamo gli operai a lavorare, senza limiti e rispetto delle condizioni di sicurezza, finalmente il vero volto del capitalismo si svela.

Se questa esperienza del lockdown ha insegnato qualcosa è che Etienne De La Boétie aveva  compreso tutto, “la prima ragione per la quale gli uomini servono volentieri è perché nascono servi e sono educati e cresciuti come tali.” (Discorso della Servitù volontaria,Edizioni Feltrinelli 2014)

 

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Ad Eddi

In questi giorni di prigionia forzata è arrivata la notizia della tua condanna a due interi anni di Sorveglianza speciale.
Condannata in quanto da donna e compagna libera ti permetti di difendere la lotta degli ultimi contro i loro oppressori. Lotta portata avanti a proprio rischio in terre lontane. Per questo hanno paura di te, perché sanno che sai lottare e sai resistere, perché sanno che sei libera.
Non rispetterai questa condanna, saremo al tuo fianco, nel sostenerti perché i compagni ci sono sempre.

serkeftin heval heja

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Uno stato poliziesco efficiente non ha bisogno di polizia “ ( William Burroughs )

L’emergenza causata dal coronavirus sta mostrando atteggiamenti a lungo rimasti sopiti.
Nel quadro del “ cittadino onesto “ si snodano comportamenti fascisti e polizieschi spacciati per buona condotta.
Da diversi giorni, nella grande arena dei media si consuma la retorica dell’eroismo patriottico di chi “ rimane a casa nell’osservanza dei decreti”.

Alimentata dalla paura, la percezione del virus incoraggia una condotta egoistica e poliziesca. Non si risolve l’emergenza perché si collabora tra individui, maperché si resta isolati e in silenzio.
Chi non segue tale indicazione, merita di essere perseguitato e punito.

Sono numerosi i video pubblicati che rilevano una “caccia all’untore”.
Immagini continue di persone che vengono giudicate e messe alla gogna.

Comportamento che sta favorendo l’inasprirsi, da parte del governo centrale e delle Regioni, delle misure di quarantena e dell’aumento del clima di paura e sospetto nei confronti del prossimo.

Le fasce più deboli ( i clochard, le persone che vivono sotto la soglia di povertà, i lavoratori in nero, i migranti ecc. ) vengono del tutto ignorate, emarginate, ultimi in un sistema basato sulla logica dello sfruttamento.

Come ha ben evidenziato Wolf Bukowsky , nel suo interessante articolo su Giap,c’è uno stretto legame tra la lotta per il decoro degli scorsi anni e questa continua caccia agli untori. C’è un forte legame al puntuale flashmob di cantare l’inno di Mameli, di sostenere senza possibilità di contraddittorio le liberticide norme imposte e che ci hanno portato all’isolamento domiciliare.

Si tratta di una forma nuova di fascismo.
Si è vero per impedire la diffusione del contagio occorre isolarsi. Ma occorre in tutto questo limitare i movimenti, denunciare chi viene fermato. Magari è il solito immigrato che cerca di raggiungere un misero posto di lavoro pagato in nero. Occorre impedire la corsa a chi cerca di mantenersi in forma? Occorre impedire a chi ha problemi di vario genere, di poter prendere un po’ di aria?
Quando invece intere categorie di lavoratori, essenziali oppure no, sono costretti a muoversi e a stare in contatto stretto con altri individui nei luoghi di lavoro? O sui mezzi di trasporto pubblici?

Quando le aziende non intendono assumersi l’onere di fornire ai propri lavoratori i vari sistemi di protezione individuale, come mascherine, guanti ed occhiali?
Si tratta di retorica, degna del ventennio fascista. Si tratta semplicemente di dimostrare che gli altri sono i manchevoli, mentre i veri responsabili stanno tranquilli a leggere i loro fatturati e gli indici di borsa. Ma soprattutto, il dibattito feroce, che sta emergendo è tra l’interesse di tutelare la collettività e l’interesse di garantire il rispetto dei limiti dei diritti umani.
Ha senso tutelare la salute della collettività, imprigionando una intera nazione, per un periodo di tempo non ancora definito, con conseguenze devastanti sulla salute mentale di moltissime persone? La soluzione di questo panopticon globale è la somministrazione a tutti di psicofarmaci. La carcerazione preventiva. La fucilazione immediata?

Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza.

Con questa frase Benjamin Franklin, non certo un anarchico, in tempi non sospetti, evidenziava il pericolo stretto che intercorre nel perseguire la sicurezza a danno delle libertà fondamentali.

Le fortissime limitazioni attuate in Italia, in nome della salute pubblica, sono un pericolo incombente per la nostra società.
Chi le accetta o le condivide per giustificare il benessere pubblico è senza mezzi termini un fascista.
Un funzionalista prima maniera, che concepisce l’individuo come semplice cellula di un organismo più grande, obbediente e funzionale alle indicazioni di tale organismo superiore.

L’organismo superiore non è l’individuo, né la collettività è sempre e solo lo Stato.
Stato che determina e decide i diritti dei singoli e chi li può avere.

Alla fine di questo isolamento domiciliare, forse, saremo salvi dal virus, ma avremo perso molto, forse tutto.

All’interno del variegato e frastagliato movimento anarchico questo passaggio forse non è chiaro a tutti, o semplicemente si afferma che i conti li faremo dopo.
La domanda che si pone è ma dopo quando? Credete che lo stato, restituirà quanto ha così facilmente tolto?
Abbiamo seri dubbi in merito. Abbiamo la certezza che la diffusione del panico di massa, del controllo di massa, sarà uno strumento che verrà sempre più utilizzato perché ha ottenuto risultati inaspettati.
Il silenzio e l’obbedienza totale.
Certo il virus uccide. Come uccidono le bombe in Siria, come uccide la fame degli ultimi.

Ma sicuramente uccide di più il panico del virus perché ha distrutto ogni solidarietà umana, ogni legame , ogni forma di umanità. Quel che conta è sopravvivere.

Comportamenti questi che vediamo e che di riflesso applichiamo tutti, quando si è fermi in coda per entrare al supermercato o alla cassa. Si ha il terrore di chi si avvicina troppo.

Paradossalmente saranno gli anziani, gli immigrati, gli ultimi sfruttati da un sistema economico in decomposizione a salvarci.
I giovani, le persone di mezza età, sono tutte rintanate in casa.
Neanche ai tempi di Chernobyl si aveva tanto terrore del prossimo e della stessa aria che respiriamo.

Potete vivere così, con il terrore del prossimo?
Potete accettare la scomparsa di ogni diritto alla vita, in nome di una isteria collettiva, paravento del profitto?

La domanda è, sempre quella, cosa fare?
Reagire, rompere l’isteria da panico di massa.
Sostenersi, mediante il mutuo appoggio, e sostenere chi verrà massacrato dalla incombente crisi economica, più dolorosa di questa isteria collettiva.

Riprendere ad agire, nei luoghi di lavoro, nelle case. Ovunque si possa fare, riprendere la strada e le piazze.
Smettere di avere paura del prossimo ma sostenerlo.
Il nemico è lo stesso, lo Stato ed il sistema capitalistico.

Pubblicato il da chimera | Commenti disabilitati su Lascia lo sbirro a casa!

L’Italia del CoronaVirus

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Sui social, in tempi non sospetti, si evocava l’estinzione di massa, l’asteroide, la pandemia per ribadire l’evidente difficoltà di questa società a sostenere modelli sociali umani e cooperativistici. La pandemia è arrivata e si chiama SARS-CoV-2. Occorre fare un po’ … Continua a leggere

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Silvia Federici: “Vendere la vagina non è peggio che vendere il cervello”

da cartacapital.com

Tradotto da Sofia; Revisionato da Gaia

Per l’italiana, il femminismo è stato capace di superare le illusioni del movimento negli anni ’70.

Gli studi sul passato di Silvia Federici sono spesso interrotti da una domanda insidiosa. Perché, nonostante i progressi, i femminicidi sembrano crescere nel mondo? Parte della risposta è nel libro recentemente pubblicato “Mulheres e Caça às Bruxas”, motivo della visita della pensatrice italiana a São Paolo per una serie di conferenze a settembre. Il libro riprende i temi del suo saggio più famoso, “Calibano e la Strega”, in cui sostiene che la persecuzione si colleghi alle radici del capitalismo e all’attuale violenza contro le donne. Federici sarà una delle protagoniste del seminario “Democracia em Colapso”, promosso dall’Editora Boitempo e supportato da CartaCapital.
[Federici] è stata anche a Bahia e Maranhão.

CartaCapital: Perchè dopo più di cinque secoli si parla di caccia alle streghe?:
Silvia Federici: la caccia alle streghe non è finita. Ancora oggi in Africa, in India e in alcune zone dell’Asia, migliaia di donne accusate di stregoneria vengono bruciate vive. Nella Storia non c’è mai stata una persecuzione così organizzata nel colpire direttamente le donne: chi le ha accusate di essere nemiche di Dio, della società e dell’umanità. Oggi viene riaperto il discorso contro le streghe, perché esiste un femminismo che rivendica questa immagine.

CC: E in che modo questa storia si relazione con il capitalismo?
SF: La caccia ai poveri, la conquista dell’America Latina, la schiavitù… tutto questo è stato storicamente riconosciuto come processo fondamentale di costruzione della società capitalista. Ciò che è stato ignorato è la persecuzione delle donne. La caccia alle streghe è stata, in linea generale, un grande attacco alla posizione sociale femminile. Ha ridefinito la riproduzione, la divisione sessuale del lavoro. Lo sai che c’è stata una caccia alle streghe in Brasile nei secoli XVI-XVII? Le santi madri del candomblé furono incolpate per le rivolte degli schiavi.

CC: Lei dice che i suoi studi sopra i femminicidi del passato sono frequentemente interrotti dall’incognita dell’esplosione del presente. A che conclusione è arrivata?
SF: Oggi non ci bruciano, ma ci uccidono, ci fanno a pezzi. Io mi ricordo il lavoro dell’antropologa e femminista argentina Rita Segato, che ha intervistato molti membri dei Maras, gang dell’America Centrale. Questi giovani le hanno detto che uccidono le donne per inviare messaggi ad altri uomini. Alcuni dimostrano la loro forza uccidendo la donna che amano. Questi sono ragazzi che hanno visto bruciare il loro quartiere, che hanno visto assassinare le loro madri. Le donne sono al centro degli attacchi istituzionali e individuali.

CC: Perché, nonostante sempre più persone soffrano di forme [di violenze] innominabili, una rivoluzione sembra così lontana?
SF: La vita è così miserabile che affrontarla giorno dopo giorno è una vittoria. Molte volte, le persone non vogliono mobilitarsi perché pensano: “Bene, peggiorerò la mia situazione.” Negli Stati Uniti l’aspettativa di vita è diminuita, i suicidi sono aumentati. Coloro che non si uccidono usano molti antidepressivi …

CC: Come potrebbe reagire il femminismo?
SF: Sapendo che in questa situazione non basta semplicemente dire no. E anche iniziando a costruire un’altra società dal basso. Non saremo in grado di resistere a questo attacco senza una lotta che sia anche costruttiva. Quando ci riuniamo, diventiamo più forti. Il femminismo non ti rende un soggetto astratto. E questo incoraggia, rende le donne parte di qualcosa di più grande di loro, consente loro di superare le paure e le miserie individuali. Non sto dicendo che gli uomini non possano capirlo, ma penso che le donne lo capiscano meglio.

CC: Quali sono le sue impressioni sulla nuova generazione di femministe?
SF: Sono molto felice di vedere un nuovo femminismo che ha superato le illusioni del movimento degli anni 1970. La maggior parte delle colleghe del mio tempo sono state sedotte dalle Nazioni Unite, dal lavoro più socievole e creativo fuori casa. Credo che le giovani donne abbiano una diffusa consapevolezza che la società capitalista non è sostenibile. E portano sul tavolo molti argomenti, tutti collegati: violenza contro le donne, distruzione dell’ambiente, sessualità binaria. Questo è tutto molto bello.

CC: Il lavoro domestico è ancora parte della routine per la maggior parte delle donne. Se no, è pagato in modo precario. Come cambiare?
SF: Il movimento femminista americano ed europeo degli anni ’70 fece crescere l’illusione che lavorare fuori casa fosse una panacea. Abbiamo visto che non è così. Ciò ha creato un nuovo tipo di disuguaglianza. Penso che la soluzione sia un movimento che unisce le donne che lavorano a casa gratuitamente con quelle che lo fanno in cambio di uno stipendio. Nonostante le diverse situazioni, c’è un interesse comune: rivalutare questo lavoro. E anche riorganizzarlo, creare forme più collettive e cooperative.

CC: E il lavoro sessuale? È un tema che divide il movimento …
SF: È chiaro che il lavoro sessuale è un lavoro di sfruttamento violento. Ma non è l’unico. Il femminismo dovrebbe dare più possibilità a tutte le donne, non dire quale sia la migliore forma di sfruttamento. È una visione moralista, miope e che, alla fine, serve per dividere ancora di più le donne. Sostengo l’abolizione di tutte le forme di sfruttamento. Vendere la vagina non è peggio che vendere il cervello.

CC: Lei ha seguito i gruppi virtuali che odiano le donne, come gli incel?
SF: Studierò meglio questo movimento, perché mi viene sempre chiesto. Mi sembra una ristampa di un gruppo degli anni ’80 che rivendicava la ripresa di una posizione centrale per l’uomo, dispiaciuto di aver “lasciato” uscire la donna da casa … Un orrore, un’ipocrisia. Se il capitalismo sfrutta gli uomini, ha anche dato loro una serva. Al servizio di tre capi: essi, i bambini e il capitale. Lo sfruttamento delle donne coinvolge tutto il loro corpo: sentimenti, procreazione, sessualità. È un modello di sfruttamento molto più invasivo di quello mascolino. Quello che chiamano amore è un lavoro non retribuito.

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